Da Bangui la testimonianza di p. Trinchero, missionario carmelitano
“Da quando è iniziata, sei anni fa, la guerra è cambiata. Non è più uno scontro tra due fronti, la Seleka e gli anti-Balaka, ma tra tanti piccoli gruppi armati che vanno avanti con rappresaglie e vendette. Gli accordi di pace non sono stati efficaci e lo Stato non è in grado di garantire sicurezza”. A parlare al Sir da Bangui è padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo originario di Casale Monferrato, da dieci anni in missione nella Repubblica Centrafricana.
Padre Trinchero si occupa della formazione di dodici giovani; è il padre maestro del monastero del Carmelo di Bangui, composto da diciannove frati, diventato famoso nel periodo della visita di Papa Francesco nel 2015. Da fine 2013 a marzo 2017 ha accolto oltre 10.000 profughi, mettendo in piedi progetti per aiutare gli sfollati in fuga dal conflitto e la gente del posto. Il più importante ed efficace è quello finanziato con 390.000 euro dell’8 per mille della Cei e il contributo di una associazione francese.
Il progetto ha già avviato con successo una produzione di mattoni autobloccanti e prevede anche una scuola agricola e attività di allevamento. Un centro per malnutriti voluto da Papa Francesco è stato realizzato con i mattoni del Carmelo. La Fao ha chiesto ai carmelitani di poter utilizzare il vasto terreno collegato al monastero per impiantare un ambizioso progetto pilota per la formazione e l’inserimento lavorativo di 500 giovani. L’iniziativa ha un budget di 2 milioni di euro.
Finora è stato realizzato un pollaio e spiegato ai giovani come allevare le galline ed iniziata una produzione di sapone. I frati attendono con ansia anche l’arrivo di una trentina di mucche. La tranquillità della vita a Bangui “è solo una illusione ottica”, confida il missionario.
L’ultimo massacro, con decine di civili brutalmente assassinati, è avvenuto una settimana fa in due villaggi ad una cinquantina di chilometri da Paoua, al confine con il Ciad. “Difficile capire le ragioni di questi attacchi … forse l’obiettivo è la divisione e la destabilizzazione del Paese”.
Da tre anni nella Repubblica Centrafricana è tornata la paura: nonostante gli otto accordi di pace, “almeno il 75% del Paese è sotto il controllo di gruppi armati”. Continuano i massacri di civili, le rappresaglie, gli assassini di preti e suore. Due preti, insieme ad una ottantina di civili, sono stati uccisi durante il massacro del 15 novembre scorso ad Alindao, a 500 km da Bangui, in un campo di sfollati vicino alla cattedrale.
Le abitazioni sono state saccheggiate e la chiesa profanata. Una decina di giorni fa a Nola è stata assassinata una anziana suora, della comunità francese Filles de Jésus. Nonostante la presenza di oltre 650.000 sfollati – su 4,5 milioni di abitanti – il carmelitano pensa che nel Paese “ci sia tanta speranza. Qui c’è un capitale umano enorme, i giovani hanno voglia di fare” e di cambiare.