Vittoria socialista; caduta dei Popolari, ultradestra alle Cortes
“Sì, se piede”: in Spagna i sostenitori socialisti scandiscono lo slogan che evoca quello di Barack Obama: “Yes, we can”. Si possono vincere le elezioni, si può governare il Paese, si può essere europeisti e spagnoli allo stesso tempo.
I risultati del voto parlamentare del 28 aprile (caratterizzato dalla voglia di partecipare: affluenza alle urne salita al 75,7%, quasi dieci punti in più di tre anni fa) hanno promosso il premier uscente Pedro Sanchez, leader del Partido socialista obrero español (Psoe) e bocciato il Partito popolare (Pp).
In concreto, il Psoe si attesta, primo partito, al 28,7% dei voti: conquista 123 dei 350 seggi delle Cortes (+38 seggi rispetto al voto del 2016). Il Pp, secondo partito, si ferma al 16,7%, con 66 seggi (-71). La destra moderata di Ciudadanos è al 15,8%, con 57 seggi (+25). La sinistra di Podemos prende il 14,3% dei voti (42 seggi); Vox, destra estrema, non sfonda ma entra in Parlamento con il 10,3% (24 deputati). Trentotto seggi vanno ai partiti indipendentisti o regionali: 22 alle due formazioni Catalane, 6 alle due Basche.
Un Parlamento, dunque, senza una chiara maggioranza: le sinistre di Psoe e di Podemos con 176 seggi non possono governare; lo stesso vale per il centrodestra, sia pure “allargato”. Potrebbero risultare ancora una volta necessari i voti dei piccoli e riottosi partiti localisti.
Le prime parole del premier uscente Pedro Sanchez hanno guardato alla governabilità e all’Europa: “Il Partito socialista ha vinto le elezioni generali in Spagna e con queste ha vinto il futuro e ha perso il passato. Abbiamo mandato un messaggio all’Europa e al resto del mondo. Si possono battere l’autoritarismo e l’involuzione”. Quindi un auspicio: “Formeremo un governo pro europeo”.
Finita la campagna elettorale, Sanchez deve ora dimostrare di poter governare, mettendo in primo piano tre temi.
Il primo è l’economia: i dati finora sono positivi, ma molto resta da fare per restituire certezze agli spagnoli. Secondo: il nodo dell’indipendentismo, che attraversa la Catalogna e la regione basca fino alle terre d’oltremare e che porta alle Cortes un vento identitario e antinazionale. Terzo problema: le migrazioni che, pur non essendo state al centro del dibattito politico come in Italia, sono in forte aumento dall’Africa del Nord. Sanchez, quindi, dovrà verificare se tra le forze politiche ci sia la volontà di dare un governo al Paese prima delle elezioni europee.
Un altro problema di non facile soluzione perché da un fallimento potrebbe trarre vantaggio soprattutto la destra estrema di Vox. Non è escluso che vengano avviate trattative a “geografia variabile” tra Psoe, Pp, Ciudadanos e Podemos, con un occhio a catalani e baschi, riservandosi però ogni decisione governativa a dopo il 26 maggio, magari cercando di capitalizzare le posizioni emerse dal voto del 28 aprile.