
Rapporto Amnesty sulla pena di morte: Cina e Iran in testa alle statistiche
Sono diminuite di un terzo le esecuzioni capitali nel mondo, il numero più basso in almeno un decennio: sono state 690 nel 2018, il 31% in meno rispetto alle 993 dell’anno precedente. È la buona notizia che emerge dal rapporto globale sulla pena di morte diffuso la scorsa settimana da Amnesty International.
Complessivamente i dati del 2018 mostrano che la pena di morte è stabilmente in declino e che in varie parti del mondo vengono prese iniziative per porre fine a questa punizione crudele e inumana. Alla fine del 2018, erano 142 gli Stati che avevano abolito la pena di morte per legge o nella prassi. Di questi, 106 erano abolizionisti totali.
Dopo la modifica alla legislazione contro la droga, in Iran – dove comunque l’uso della pena di morte resta elevato – le esecuzioni sono diminuite addirittura del 50%.
Una significativa riduzione delle esecuzioni è stata registrata anche in Iraq, Pakistan e Somalia.
In controtendenza, invece, le esecuzioni sono aumentate in Bielorussia, Giappone, Singapore, Sud Sudan e Usa. La Thailandia ha eseguito la prima condanna a morte dal 2009, mentre il presidente dello Sri Lanka ha annunciato la ripresa delle esecuzioni dopo oltre 40 anni, pubblicando un bando per l’assunzione dei boia. Con una decisione senza precedenti, le autorità del Vietnam hanno reso noti i dati sulla pena di morte: nel 2018 le esecuzioni sono state 85.
I primi cinque Stati per numero di esecuzioni sono la Cina (migliaia), l’Iran (almeno 253), l’Arabia Saudita (149), il Vietnam (85) e l’Iraq (almeno 52). E ancora più di 19.000 persone sono detenute nei bracci della morte in diversi Paesi.
Tra i segnali positivi, il Burkina Faso a giugno ha adottato un nuovo codice penale abolizionista. Rispettivamente a febbraio e a luglio, Gambia e Malaysia hanno annunciato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni. Negli Usa, a ottobre, la legge sulla pena di morte dello stato di Washington è stata dichiarata incostituzionale. “La drastica diminuzione delle esecuzioni dimostra che persino gli Stati più riluttanti stanno iniziando a cambiare idea e a rendersi conto che la pena di morte non è la risposta” ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International”.
A dicembre, nel corso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, 121 Stati (un numero senza precedenti) hanno votato a favore di una moratoria globale sulla pena di morte, cui si sono opposti solo 35 Stati. La Cina è ancora al primo posto per numero di esecuzioni, anche se il livello effettivo dell’uso della pena di morte è ignoto per il segreto di Stato. Amnesty International ritiene che migliaia di persone siano condannate alla pena capitale e messe a morte ogni anno. Amnesty si è detta inoltre preoccupata per il notevole aumento delle condanne a morte emesse in alcuni Stati nel corso del 2018.