

La morte di Luca Savio, a due mesi esatti da quella di Luciano Pampana, nel bacino di Fantiscritti, pone nuovamente interrogativi pesanti sul settore lapideo nella nostra provincia. Nonostante l’impegno delle istituzioni per incrementare la sicurezza sul lavoro, soprattutto nelle cave, gli incidenti non cessano. Lo sfruttamento del marmo, nella nostra provincia, è già sotto accusa per il suo violento impatto naturale e ambientale, a cui tuttavia non corrisponde un adeguato beneficio in termini di diffusione della ricchezza, se si esclude il ristretto giro delle grandi imprese del settore e dei cavatori e dei trasportatori detentori di altissime professionalità. La tragedia della settimana scorsa squarcia il velo su un ulteriore aspetto dell’industria del marmo. Dietro la situazione denunciata dai sindacati e favorita da tassi di disoccupazione provinciale che rendono appetibile qualsiasi occupazione a qualsiasi condizione, si nascondono condizioni di lavoro spesso al di fuori di qualsiasi norma morale, prima che giuridica. In tanti si chiedono quale formazione in termini di sicurezza possa avere ottenuto un lavoratore assunto per 6 giorni e se l’obiettivo del massimo profitto possa giustificare l’intricata filiera di appalti, subappalti e contoterzisti che tendono a rendere più dure e pericolose le condizioni di lavoro. Si tratta di domande che non ottengono risposte: né dai comunicati stampa delle forze politiche, sempre più sterili e retorici, né tantomeno dal disarmante silenzio di molti altri attori della vita sociale ed economica del territorio. In questo contesto, sperare che il lapideo possa un domani offrire un benessere ben distribuito e, soprattutto, occupazione per vivere anziché per morire, appare una pura utopia. (d.t.)