
Nata a Reykjavìk nel 1958 ha insegnato Storia dell’arte ed è stata direttrice del Museo dell’Università d’Islanda, in Italia sono già usciti Rosa candida, La donna è un’isola, L’eccezione e Il rosso vivo del rabarbaro tutti pubblicati da Einaudi come questo Hotel Silence (pagg.193 traduzione di Stefano Rosatti, euro 18,50).
Il protagonista è Jonas, ha quarantanove anni ed un talento particolare per riparare le cose, sta attraversando un momento critico: ha appena divorziato, la sua ex moglie gli ha rivelato che la sua amatissima figlia è frutto di un tradimento; la madre, cui è molto legato, vive in una casa di riposo al limite della coscienza se pur con momenti di insospettabile lucidità; il suo vicino pur gentile lo ossessiona con il suo perfetto rigore attraversato da un pessimismo cosmico.
Decide di farla finita ma non trova una soluzione soddisfacente per un suicidio che coinvolgerebbe emotivamente e praticamente le persone a cui è legato, malgrado tutto e prima di tutto la figlia. Decide allora di prendersi una sorta di vacanza, di andare in un paese lontano e lì porre fine ai suoi tormenti. Sceglie un luogo di cui non sapremo mai il nome ma che comunque è collocabile all’interno di quella zona del Medio Oriente attraversata da conflitti apparentemente inestinguibili (Siria?,Libano?).
Si troverà ad alloggiare presso un hotel, nella periferia di una piccola città disastrata, gestito da una coppia di giovani fratelli , maschio e femmina, con una bambina figlia della ragazza, con pochi clienti: due oltre lui. Una attrice famosa non più giovanissima ma molto attraente, nativa di quei luoghi, che sta effettuando una sorta di viaggio alle sue origini, solitaria, scostante e misteriosa. Un americano volgare e vagamente aggressivo che cerca in quei luoghi e in quei tempi probabilmente occasioni di arricchimento attraverso traffici oscuri.
Il nostro Jonas non è molto preoccupato, per lui il progetto è di fermarsi qualche giorno e poi portare a termine la sua missione suicida. L’albergo pur miracolosamente sopravvissuto ai disastri della guerra (che appaiono evidenti per le macerie che lo circondano e per la scarsità della popolazione) ha bisogno di lavori di manutenzione perchè ha comunque subito danni.
Il giovane nel suo viaggio ha portato con sé una piccola cassetta di attrezzi per la forza dell’abitudine e ben presto si trova coinvolto in piccole riparazioni che per la sua abilità attirano l’attenzione degli sparuti abitanti della zona oltre naturalmente dei due giovani proprietari dell’hotel.
Decide di procrastinare di qualche tempo il suo proposito definitivo e si trova ben presto coinvolto in situazioni , non tutte piacevoli, che lo portano a comportamenti e decisioni inaspettate. Il prolungamento del soggiorno porta una conoscenza più approfondita dei luoghi e delle persone tanto più che la figlia lo ha rintracciato e le conversazioni telefoniche si fanno sempre più preoccupanti e in qualche modo distraenti per il compito che si era dato, anche se comunque la decisione per lui è solo brevemente rimandata.
Scritto con la limpida chiarezza cui questa straordinaria scrittrice ci ha sempre coinvolto il romanzo si pone come una riflessione sulla morte e sull’orrore ma lo fa scegliendo la grazia e l’umorismo in una sorta di ossimoro che molto somiglia alla nostra vita oggi.
Come noto l’Islanda è un piccolo grande paese, pochissimo abitato ma con la più alta densità di scrittori al mondo in rapporto alla sua popolazione. Vanta anche un Nobel alla letteratura col grande Laxness, ha giallisti della tempra dell’eccellente Indidarson e molto altro ancora: la Olafsdottir si conferma in consonanza con il tutto.
Ariodante Roberto Petacco