Terrorismo in Centrafrica. Il racconto del parroco sopravvissuto.
La nostra diocesi è molto legata a questa terra per la presenza di vari missionari lunigianesi. Attualmente vi operano P. Antonio Triani e, a Wantiguera, le Missionarie del Lieto Messaggio di Pontremoli.
Bangui, martedì 1 maggio. Nella parrocchia di N. S. di Fatima, nella periferia della capitale della Repubblica Centrafricana, è festa. Il gruppo “San Giuseppe” ha organizzato una messa solenne: vi partecipano oltre 2.000 persone. La chiesa, per quanto grande, non riesce ad accoglierle tutte e molte di loro sono riunite nel piazzale: sotto gli alberi, i padri comboniani – che gestiscono la parrocchia dal 1967 – hanno sistemato delle panche. La celebrazione eucaristica prosegue festosa, tra canti, lettura della Parola di Dio e preghiere, fino a quando, al momento dell’offertorio, non si iniziano a sentire i primi spari.
“Erano circa le 10.30/10.40. Erano spari come tanti altri che siamo soliti, purtroppo, sentire per le strade di Bangui. Mai ci saremmo aspettati il massacro che di lì a poco si è consumato davanti ai nostri occhi”. A parlare è p. Moses Otii Alir, 38 anni, missionario comboniano originario di Kotido, in Uganda, parroco di Nostra Signora di Fatima dal 2013. Già testimone diretto dell’attentato del 28 maggio 2014 (in cui persero la vita 15 persone), p. Moses ha visto cadere decine di persone sotto i colpi degli attentatori.
“La gente ha iniziato a urlare – racconta P. Moses – e a scappare impaurita. Noi abbiamo cercato di mettere al sicuro in chiesa più persone possibile. Gli attentatori, in un primo momento hanno avuto uno scontro con i due poliziotti che erano posti a guardia dell’ingresso della parrocchia. Questi, però, non essendo sufficientemente attrezzati per rispondere al fuoco, sono scappati. A questo punto il commando ha iniziato a sparare all’impazzata sui fedeli nel piazzale, prendendo la mira attraverso la ringhiera posta sul muro di cinta della parrocchia. Abbiamo visto in faccia gli attentatori. Erano tanti e alcuni di loro si sono arrampicati anche sugli alberi, da dove hanno buttato granate sulla chiesa. Erano militanti islamici della zona, finanziati da gruppi esterni, interessati al controllo delle risorse minerarie del Paese. Sette le persone morte sul colpo, molte altre non sono riuscite a sopravvivere alle ferite riportate nell’attentato. A fine giornata, si sono contati trenta morti. Oltre un centinaio i feriti. Tra le persone che hanno perso la vita in chiesa c’era anche p. Albert Toungoumalé-Baba, 70 anni, che era il responsabile locale della Commissione giustizia e pace, colpito alla testa da un proiettile. Quando si è accorto di quello che stava accadendo, mi ha detto: ‘Moses, dobbiamo continuare la messa’. Quelle sono state le sue ultime parole. Oggi la situazione è molto brutta. Continuiamo a celebrare la messa, ma quando lo facciamo tutto il perimetro della parrocchia è circondato da militari armati. Nonostante la paura, la gente ha una grande fede e continua a venire in chiesa. La parrocchia sorge a circa un quarto d’ora di macchina dal centro di Bangui e ha una popolazione di circa 50mila abitanti. Ogni domenica a messa partecipano tra 2000 e 2500 persone. All’indomani dell’attentato ho incontrato i fedeli e insieme abbiamo deciso di continuare le attività. Domenica 3 giugno 400 ragazzi, tra i 12 e 14 anni, hanno ricevuto i sacramenti del Battesimo e della Prima comunione. A Pentecoste ci sono state le Cresime di 103 ragazzi. Tra di loro anche un 19enne che è rimasto ferito ad una gamba durante l’attentato del 1° maggio. La forza di queste persone per andare avanti è nella fede e nella Chiesa. Hanno capito che non possono aspettarsi nulla dalle grandi organizzazioni internazionali. Hanno fede in Dio e fiducia nella Chiesa, perché sono lì, presenti accanto a loro. Noi, all’indomani dell’attentato, non siamo scappati, siamo rimasti lì, in mezzo alla gente. E la gente questo lo vede e lo vive. Tutti i giorni sono centinaia le persone che arrivano alle 15.30 in chiesa per pregare per la pace e per il Paese”.
(Agenzia Sir)