
Il diario dell’ebreo Jo Koopman. Le stragi degli anni bui dell’Olocausto
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria. Uomini buoni vissuti in tempi cattivi hanno tenuto dentro di sé i tormenti di cui la data è simbolo globale o li hanno narrati e pubblicati. Scritto a botta calda nel 1945-’46, ma edito solo ora in Italia da Edizioni Dehoniane Bologna, è La notte di Auschwitz di Jo Koopman: è il racconto lapidario, antiretorico della sua storia di ebreo deportato nel più atroce campo di sterminio in Polonia, dall’impatto del primo giorno col lager fino alla liberazione del 27 gennaio 1945 da parte dei sovietici, ma dice anche delle gravi difficoltà del viaggio di rientro in Olanda e della delusione del ritorno perché non ci fu comprensione e sostegno adeguato a tanta tragedia.
Per opportunismo, tattiche politiche, processi di rimozione si glissava sugli eventi, come nei mesi della guerra si era usata la menzogna per nascondere lo sterminio di cui molti sapevano e non avrebbero potuto non sapere. Radio Londra parlava di camere a gas ma fu comodo ritenerla propaganda antitedesca; gli stranieri che visitavano il lager e gli osservatori della CRI venivano raggirati facendo loro vedere solo filari di betulle (“bosco di betulle” è il significato del terribile lager di Buchenvald), le belle dimore degli aguzzini tedeschi, cosicché si persuadevano che non ci fosse “nessun pericolo di morte”.
Arrivati al campo, ricorda Koopman, “prigionieri in uniforme a righe scaricarono i bagagli e aiutarono donne e bambini a scendere. Nessuno volle rispondere alle nostre domande. Numerosissime le SS. Nell’aria c’era un fetore che non si riusciva a identificare che preoccupò tutti. Continuammo il cammino in silenzio, troppo stanchi e troppo inquieti per poter parlare. Della strada ricordo il fango e i fili del reticolato percorsi dalla corrente. Così deve sentirsi, avvicinandosi al mattatoio, l’animale che sente aleggiare intorno la morte dei compagni e avverte istintivamente il pericolo”. Il fetore era dovuto ai tanti corpi bruciati. All’arrivo subito la registrazione, “i più fortunati vanno subito nelle camere a gas”!
Sono considerati fortunati perché non si rendono conto di ciò che li aspetta. L’autore di questo racconto storico dice il suo smarrimento nel capire che era uno dei milioni di uomini entrati dentro un sistema di uccisione scientifica.
Pochi i salvati, tantissimi i sommersi, per richiamare il titolo di un libro di Primo Levi, sopravissuto e subito impegnato a far conoscere che “questo è stato” e per non perderne la memoria, perché chi dimentica la storia è destinato a ripeterla. E’ questa una verità da ribadire nel nostro presente: le persone più responsabili e acute nell’analisi, come il papa, chiedono il disarmo nucleare, denunciano il rinascente antisemitismo e la discriminazione tra popoli con demenziali e antiscientifici rimasugli razzistici, proprio a 80 anni dalla vergogna delle leggi razziali.
Siamo tutti di “razza umana” disse Einstein, la genetica ha scoperto in modo inequivocabile che la razza non esiste, tutti discendiamo da un gruppo unico di “homo erectus” che circa 1,7 milioni di anni fa è migrato fuori dall’Africa per popolare l’Eurasia e poi l’America passando per lo stretto di Bering ghiacciato.
Altro libro, fra i tanti, che richiama l’infinita tragedia della seconda guerra mondiale (è stato materia di un film) è Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer, che si è recato in Ucraina a ricercare, con una vecchia fotografia in mano, Augustine, la donna che forse salvò suo nonno dai nazisti. Anche al di fuori dei lager le atrocità furono tante contro gli ebrei, in passato con i pogrom, poi la “soluzione finale”.
Nel libro si parla di un villaggio ebraico di cui non resta nulla se non la memoria, il sesto senso. A Trachimbrod i nazisti il 18 marzo 1942 assassinarono 1.204 ebrei, prima avevano bruciato la sinagoga, messi in riga tutti gli uomini, srotolata una Torah, richiesero di sputarci sopra, calpestarla. Una donna si salvò, chiedeva aiuto ma “tutti hanno voltato la faccia e si sono nascosti. Non posso fargliene una colpa, sono successe cose dopo le quali l’immaginazione non può esistere più”.
Orlando Lecchini nel suo libro Per non chinare la testa chiama tutti a non perdere la forza morale del bene comune: “tanto dolore non deve essere sprecato o stravolto, altrimenti tutto è stato vano”. La mia prigionia di Luigi Battistini è la testimonianza di un altro lunigianese nei lager. (M.L.S.)
Costruire oggi un presente migliore
Il “Giorno della Memoria” è una ricorrenza istituita con la legge 11 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha, in tal modo, aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come Giornata per ricordare da una parte la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz e commemorare la Shoa (in ebraico catastrofe, desolazione), le leggi razziali, la deportazione, la prigionia, lo sterminio dei cittadini ebrei. Dall’altra tutti coloro che si opposero a quel folle progetto di genocidio, non esitando a salvare altre vite. Una Giornata, quella del 27 gennaio, che ci sollecita a non dimenticare quando l’uomo negò se stesso e la propria umanità considerando i suoi simili un numero; i sentimenti un orpello; i valori un nulla; l’onore e la coscienza fastidi da rimuovere.
Fare memoria dell’oscurità dell’umanità di un passato lontano ma ancora recente non basta a far diventare l’olocausto lezione per il presente e il futuro. Le casacche a righe, le stelle e i triangoli, i numeri impressi sulla carne viva, gli sguardi carichi di terrore, purtroppo, sono in agguato dietro ogni cessione di democrazia e di umanità in troppe parti del nostro pianeta in cui rivive la cieca prepotenza del non – uomo contro l’altro uomo. “La normalità” del male è una sfida quotidiana contro cui non basta il ricordo, che grida ad agire, a vigilanza responsabile e concreta nella quotidianità.
Tanta “ brava gente”,tanti uomini comuni hanno preferito non vedere,non udire,non raccogliere le grida degli innocenti, non capire ciò che andava compreso. Essere spettatori passivi significa anestetizzare la coscienza. Il terrore, l’odio,le ingiustizie,la violenza vestono ancora la divisa e imbracciano le armi dello sterminio anche in quello che , oggi, definiamo progresso.
Dietro ogni gesto di fanatismo religioso,d’intolleranza,di rifiuto delle diversità si celano i germi del disprezzo dell’uomo che possono portare a conseguenze tragiche per il mondo intero,come ha ricordato Papa Francesco ultimamente. Tutti in prima linea per combattere il male che si presenta nel suo delirio di onnipotenza. Chi è chiamato ad educare e a governare,ancora di più , ha il dovere di impegnarsi affinchè il rispetto della dignità umana sia un valore agito e inderogabile,spronando le giovani generazioni ad operare il bene. Per fare, dunque, vera memoria ed impedire il ritorno di orrende pagine della storia è assolutamente necessario costruire,insieme, un presente migliore. (Ivana Fornesi)