Il dubbio è sempre il solito: è più opportuno ignorare un gesto sconsiderato per non dargli ulteriore rilievo, o è meglio ribadire, comunque, alcuni principi per chiarire che non si tratta di problemi marginali? Ci riferiamo, è ovvio, alla manifestazione di inciviltà, condita con un più o meno consapevole spirito razzista, che ha portato alcuni tifosi della Lazio ad imbrattare la curva sud dell’olimpico con scritte e adesivi che, per offendere i cugini romanisti, facevano ricorso ad espressioni antisemite. Non sembri strano se si mettono insieme i tifosi della Lazio con la curva sud perché, chiusa dal giudice la loro “casa” abituale – la curva nord -, al prezzo simbolico di 1 euro gli stessi tifosi hanno potuto entrare nella curva suddetta ed alcuni di loro hanno pensato bene di fare quello che vorrebbero fosse catalogato come semplice “dispetto” ai loro omologhi romanisti.
Ad aumentare la condannabilità del gesto ha contribuito non poco il fatto che siano state ripescate immagini già utilizzate in passato, che ritraggono Anna Frank, la giovane vittima nazista conosciuta per il suo diario, con la maglietta della Roma. Chiaro l’intento offensivo, nei due sensi: i romanisti paragonati ad una ebrea, la memoria di quest’ultima profanata con spirito razzista.
Torniamo al dubbio iniziale, ponendoci alcune domande, generate anche dai commenti pronunciati da alcuni tra i più interessati protagonisti. Si può accettare che il tutto venga derubricato con la giustificazione delle “mele marce”? può bastare una presa di distanza più o meno formale da parte della società sportiva? sono privi di colpe i vertici societari e federali del calcio?
Probabilmente c’è del vero in tutto ciò. Non si può accusare una intera tifoseria di un reato: le responsabilità devono essere sempre riportate a livello individuale (a questo proposito, sembra che tramite le solite benedette telecamere alcuni colpevoli siano già stati individuati), ma è pur vero che troppe volte si tollerano atteggiamenti che con il tifo sano niente hanno a che fare e qui non si parla solo della Lazio. Così come è vero che, spesso, si ha la chiara percezione di una specie di sudditanza nei confronti delle tifoserie organizzate; una sudditanza che si cerca di nascondere dietro la scusa dell’impossibilità di individuare i singoli tifosi: ma chi ci crede? Infine, le promesse, più volte pronunciate, ma poco mantenute, di portare l’ordine nei campi sportivi adottando misure severe contro gli atteggiamenti delinquenziali: un’intenzione che si scontra, almeno così appare dall’esterno, con il timore che il giocattolo (e i miliardi di euro che esso genera) possa rompersi.
Un vero e proprio rompicapo, la cui difficoltà di soluzione, tuttavia, non può portare in alcun modo a giustificare o minimizzare certi fatti riconducibili ad uno dei sentimenti (negativi) più odiosi: il razzismo.
Antonio Ricci