
Aveva 11 anni il giorno del massacro nazifascista
“Era la mattina del 24 agosto, quando con mio padre ci si allontanò dalla capanna della natta di qualche centinaia di metri per fare un po’ di legna. Io, guardando a valle lontano verso Gragnola e i paesi del piano, vidi del fumo in varie zone e lo feci notare a mio padre, ma in meno che si dice cominciammo a sentire sparare con fucili e mitragliatrici che si avvicinavano rapidamente. […] Due donne, scappando, ci videro e dissero a mio padre: Oh! Renato, stanno uccidendo tutti su dalla bronza di cucina a Lavacchio, dove si trovano anche i tuoi”.
Quante volte Celso Battaglia ha iniziato così il racconto dell’eccidio di Vinca nelle numerose conferenze cui partecipava, invitato, negli incontri con le scolaresche delle varie città, non solo toscane, nelle commemorazioni ufficiali, nella trasmissioni televisive – recentemente a Uno Mattina -, nelle riunioni nei paesi fivizzanesi nei giorni precedenti quelli del ricordo, 24-25-26-27 agosto 1944. L’ultima di queste fu organizzata a Monzone, nel giardino della Stazione, lo scorso anno, i primi di quel mese, che precedettero di poco la festa del sessantesimo anno di matrimonio di Celso con Lauretta Federici, anch’ella di Vinca e scampata, all’età di 7 anni – Celso ne aveva 11 -, alla terribile strage. Si erano sposati nella chiesa di Vinca nel 1956 e lì rimasero fino al 1958, quando Celso, dopo aver lavorato alcuni anni alle cave del Sagro insieme al padre, di comune accordo con la moglie, decise di emigrare alla volta della Francia, dove trovò lavoro in una vetreria e dove nacquero i suoi 3 figli. Nel 1979 rientrarono in Italia e si stabilirono a Visignano, nel Comune pisano di Cascina, dove abitava tuttora e dove è deceduto. Aveva 84 anni Battaglia, gli ultimi decenni dei quali quasi esclusivamente impiegati a far conoscere gli atti di crudeltà che l’uomo può giungere a commettere verso i suoi simili. E a Vinca furono i più atroci e repellenti. Per questo desiderava raccontarli alle giovani generazioni, perché riteneva che i fatti di Vinca non fossero molto conosciuti, che, anzi, fossero, non si sa perché, sottaciuti nei momenti del ricordo nazionale. Soprattutto, però, desiderava farlo per gettare un seme di speranza, di concordia, di fratellanza e di libertà per il futuro, che si sviluppasse proprio dalla conoscenza dell’eccidio. È questo il messaggio che ha voluto trasmettere anche con i due libri che ha scritto: “Vinca: la sua storia, il suo martirio” e “Una raccolta di versi e di poesie”. Con Celso Battaglia scompare uno degli ultimi testimoni dell’eccidio, di coloro che hanno visto il dolore con i loro occhi e hanno operato perché i giovani apprezzassero i valori della pace. I funerali, con la partecipazione del sindaco Paolo Grassi, che gli ha reso onore, si sono svolti lunedì 19 a Vinca, il paese nel quale era nato il 1° agosto 1933 e al quale è sempre rimasto profondamente legato. Andreino Fabiani