
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella visita il Museo Monumento del Deportato
La bella città di Carpi in provincia di Modena si presenta con tante testimonianze di vicende storiche e politiche, a partire dall’età della signoria delle famiglie Pio e Este; particolari e molteplici sono le epigrafi, statue, memorie dal Risorgimento alla seconda guerra mondiale. Del processo di unificazione dell’Italia nell’Ottocento i monumenti fanno ricordo del liberale Ciro Menotti, del generale Manfredo Fanti che comandò la spedizione sabauda verso il Sud nel 1860 per raccogliere l’eredità dell’impresa di Garibaldi, e di tanti patrioti in prevalenza mazziniani; nelle epigrafi tante sono le espressioni contro il governo pontificio sovrano nelle limitrofe Legazioni emiliane e romagnole.
Dopo la recente visita del papa per l’inaugurazione del Duomo colpito dal terremoto, per esaltare il rinnovato impegno di libertà e democrazia dei cittadini di Carpi e dintorni negli anni dell’ultima guerra, il 25 aprile è venuto in visita ufficiale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, subito accolto da un simpatico coro di bambini con maglie disposte a formare il tricolore e ben intonati nel canto dell’inno d’Italia. Le sue parole hanno sottolineato i valori fondanti della nuova Italia repubblicana, celebravano senza nessuna tentazione retorica persone che con coraggio e con forte tensione etica e civile seppero fare la scelta giusta per dare a tutti le libertà di cui godiamo: un’esortazione che il presidente ha rivolto in modo più diretto ai bambini e ai giovani, che hanno ascoltato anche gli ideali e le acute riflessioni di un ex-partigiano di 97 anni.
Mentre Roma si lacerava in due cortei divisi, quello dell’Anpi, che ha invitato gruppi palestinesi, e quello degli ebrei che contestavano quella presenza, Mattarella ha onorato il contributo alla Resistenza dei 5mila della Brigata ebraica e ha insistito sulla coesione come proposito sostanziale della festa della Liberazione, vissuta allora da uomini di idee e fedi diverse ma uniti nei loro obiettivi.
L’orazione ufficiale è stata tenuta dallo storico Adriano Prosperi, ricca di memorie di imprese e di solidali uomini, cristiani e laici.
Carpi è città patriottica, ha avuto molti morti sui vari fronti di guerra e da tempo li rispetta raccogliendo e conservando memorie che stimolano molte riflessioni; con il vicino campo di Fossoli è un polo integrato molto significativo nel sistema dei luoghi della memoria in Italia. Nella provincia di Modena significativo è pure il Museo della prima Repubblica partigiana di Montefiorino, il Museo di Contese che ricorda i soldati brasiliani combattenti sulla linea gotica, altre testimonianze ricordano le stragi di Monchio, Susano e Costringano.
Nel 1973 a Carpi fu inaugurato il Museo Monumento al Deportato progettato dagli architetti Belgiojoso, Banfi, Peressuti, Rogers (gruppo che si era costituito nel 1932 in opposizione al conformismo politico dell’Italia fascista e che saranno deportati a Mauthausen e Banfi vi morì). La collaborazione fu di Renato Guttuso e Giuseppe Lanzani.
Nel cortile esterno di palazzo Pio, dove si è svolta la festa del 25 aprile scorso, 16 monoliti in cemento portano incisi su entrambe le facce i nomi di alcuni lager nazisti. All’interno il Museo si sviluppa in 13 sale sobrie ed essenziali che accendono forti emozioni e vengono visitate in continuità di spazi legati fra loro da frasi incise sulle pareti tratte da Lettere di condannati a morte della Resistenza europea. L’orrore della realtà e la speranza di consegnare ai figli un futuro di libertà e democrazia sono il segno delle parole e dei graffiti di pittori come Corrado Cagli (ha lasciato un’angosciante testimonianza nei disegni fatti quando era recluso nel lager di Buchenwald), come le forme geometriche a grande campitura di figurazioni intense e semplificate di Fernand Legér con mani che si incrociano oltre il filo spinato nel sorgere del sole, come Picasso che ha tracciato il volto scarno e dolente di un deportato con la sua funesta casacca a righe.
Poche le teche che espongono oggetti, reperti, fotografie, in modo sobrio e simbolico, ma di potente coinvolgimento, come il cumulo con la didascalia “ceneri umane”. L’emozionante percorso si conclude nella sala dei Nomi: sulle pareti e sulle volte sono incisi i nomi di circa 15mila deportati da ogni parte dall’Italia verso i campi di sterminio: una contabilità resa visibile nome per nome che sconvolge e ammonisce.
Deportazione: Fossoli, il più grosso campo di concentramento italiano per i prigionieri destinati in Germania
Sorge a circa 6 km. da Carpi il sito del dolore di Fossoli, come un orto del Getsemani dove furono concentrati più di 5mila persone destinate ai campi di sterminio in Germania, tra queste anche persone della Lunigiana. Il campo di Fossoli fu istituito dall’esercito italiano per raccogliervi i prigionieri inglesi, sudafricani e neozelandesi catturati nelle azioni di guerra nel Nordafrica e in seguito trasferiti in altri campi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i tedeschi occupanti resero il sito campo speciale di concentramento per ebrei catturati nei territori della RSI, un terzo di tutti i catturati in Italia. Dal 1944 vi entrarono anche gli oppositori politici. I repubblichini dirigono una parte del campo di Fossoli, l’altra parte passa sotto il comando delle SS che lo rendono un campo di polizia e transito di prigionieri trasferiti da carceri e concentramenti del nord Italia con destinazione nei lager europei. Dalle ricerche fatte risulta che in solo otto mesi, da gennaio ad agosto 1944, da Carpi partirono otto convogli, cinque dei quali con direzione Auschwitz, sul primo convoglio era Primo Levi, che rievoca la sua breve presenza a Fossoli all’inizio del suo libro Se questo è un uomo, e nella poesia Il tramonto di Fossoli. Nell’avanzata del fronte degli Alleati e con la maggior pressione dei partigiani il comando tedesco chiude Fossoli e trasferisce il concentramento a Bolzano, a Fossoli vengono radunati i cittadini rastrellati, uomini e donne, da inviare al lavoro coatto nei territori del Reich. Le bombe su Fossoli fanno traslocare tutti a Gonzaga. Finita la guerra, il Campo viene riadattato per raccogliere profughi, prigionieri, collaboratori del passato regime, ebrei reduci dai lager in attesa di rimpatrio. Nel 1946 una parte è già destinata ad uso agricolo, nell’altra parte da maggio 1947 ad agosto 1952 don Zeno Saltini vi colloca la comunità di Nomadelfia per orfani di guerra e bambini abbandonati. A Fossoli si insediano anche i profughi giuliano-dalmati (altro campo era a Marina di Carrara): è il villaggio San Marco. Nel 1984 lo Stato dona al Comune di Carpi l’ex- Campo Fossoli, che è stato recuperato come sito storico, è stata ricostruita fedelmente una baracca del settore ebrei, aperta una mostra permanente di documenti, dichiarato bene di interesse storico nel 2004. Nel 2010 al cinema Manzoni di Pontremoli la direttrice della Fondazione ex-Campo Fossoli illustrò al pubblico tutta la storia di quell’amaro luogo, su invito dell’ISRA.
Maria Luisa Simoncelli