“Era un giorno qualsiasi” quel 12 agosto 1944 quando a Sant’Anna di Stazzema fu strage

Lorenzo Guadagnucci la richiama nel libro presentato a Pontremoli sabato 22 aprile

era_un_giorno_qualsiasiA Sant’Anna di Stazzema “Era un giorno qualsiasi”: è con questo titolo che Lorenzo Guadagnucci ha raccolto una storia personale ma per tutti. L’autore, giornalista di Quotidiano Nazionale, non ha conosciuto nonna Elena, perduta “quel giorno qualsiasi” quando la strage arrivò in un luogo considerato sicuro. Lasciava un bambino, Alberto, di dieci anni, tormentato a lungo da un senso di colpa per non aver potuto salvarla, turbato tanto che non era più capace di leggere.
Quel giorno segnò una cesura tra un prima sereno e un dopo per lui disperato davanti a circa quattrocento persone massacrate a Sant’Anna, primo paese nel lungo elenco di stragi di Versilia, Garfagnana e Lunigiana. Quel bambino, che si era salvato disobbedendo per seguire un amico nel bosco, fu accolto, trovò le persone giuste per andare avanti, ha potuto studiare fino alla laurea, confermando che si può uscire dalla distruzione personale e sociale.
Ma per quasi 60 anni non parlò di quella strategia della “guerra ai civili”, aveva fissato alcune segrete memorie su cui si è inserito il figlio che racconta in prima persona ma immedesimandosi nel padre. Ne parlò nel 2004 quando al tribunale militare della Spezia il caparbio Gip Marco De Paolis fa svolgere il processo contro dieci soldati delle SS, rintracciati dopo il recupero fortunoso dei fascicoli delle stragi nazifasciste, non punite per ragioni geopolitiche e di altra natura. Solo uno fu presente, Bechler, che dichiarò di non avere risposte sul perché di tanta ferocia e non diede segni di pentimento o ravvedimento. Quei soldati comandati da Walter Reder, erano stati preparati a vantarsi di non aver pietà, a deumanizzare l’avversario e quindi non dava scrupoli sterminarlo come uno scarafaggio. Eppure dopo furono dei tedeschi normali.
Guadagnucci osserva le dinamiche della violenza in ogni guerra per far riflettere che anche oggi siamo in guerra e c’è la violenza sociale dell’iniqua distribuzione della ricchezza tra chi sta troppo bene e chi muore per fame e mancanze di cure. Fare memoria delle stragi significa vincere le chiusure, far emergere le ragioni della resistenza, considerare i nuovi flagelli, fare cambiamento di vita. Se rispondiamo con indifferenza o assuefazione, se visitare i luoghi della memoria non ci fa star male allora è come essere complici. Altra riflessione che scaturisce dal libro è la responsabilità personale di ogni figura della catena di comando e non del solo capo supremo.
A ordini disumani è dovere disobbedire: questa è una grossa innovazione nella nostra magistratura uscita dal processo della Spezia. (m.l.s.)