
Sabato scorso incontro al Cinema Manzoni di Pontremoli promosso dal “Cantiere per la pace”
La connessione armi-emigrazione è stata l’idea-guida della documentata analisi esposta sabato scorso al Cinema Manzoni, proposta da Cantiere per la pace. Il giornalista Rai Raffaele Crocco, direttore di Atlante delle guerre nel mondo, ha fornito dati sconcertanti. Sono 36 le guerre in atto e 10 le situazioni a rischio. Non più eserciti schierati in campo, ma morte che viene da bombe sganciate sulle città con vittime quasi tutte civili. La guerra aerea fa leva sul terrore pianificato, i civili sono l’obiettivo per costringere l’avversario alla resa, altrimenti tutti muoiono.
Dalle ultime guerre balcaniche si pratica una violenza sistematica, si fanno stupri per indebolire la comunità avversaria distruggendone il perno aggregante che è la donna. Ora infuria il terrorismo che può colpire tutti, si scelgono le città perché c’è la massima concentrazione di persone, si colpisce il potere e si può controllare il mondo. La Francia è il paese più colpito per vendetta contro il suo intervento armato in Mali del 2012, che fece fallire il piano di un grande califfato dal Mali all’Arabia Saudita. Le stragi sono infinite ed è ovvio domandarsi perché continuare a fare guerre che si potrebbero certamente evitare. Ma se ne fanno tante e con armi sempre più micidiali perché alimentano un mercato molto redditizio per i paesi industrializzati, che non hanno interesse a rimuovere le gravissime divaricazioni fra gli estremi (miseria, fame, privazione di acqua e istruzione, assenza di diritti di contro a minoranze che controllano la ricchezza del mondo).
La cattiva distribuzione delle risorse obbliga all’emigrazione (così fu per 10 milioni di italiani) per cercare migliori prospettive di vita. Ricca di dati aggiornati e precisi sulla compravendita di armi la relazione di Giorgio Beretta, analista della Rete italiana per il disarmo. Le zone di maggiori conflitti ora sono il Medio Oriente e il Nord Africa, terre di guerre civili, di scarsa o inesistente democrazia. Là sono spediti i più consistenti carichi di armi per affari che superano i 100 miliardi di dollari; partono anche dall’Italia, prodotte da industrie italiane e straniere con licenza italiana. I principali esportatori di armi sono gli Stati Uniti e la Russia, ma se si considera insieme il blocco dei paesi l’Unione Europea si piazza al secondo posto. Spendono di più nell’acquisto di armi Oman, Sud Sudan, Arabia Saudita, Iraq: noi li stiamo armando.
Chi dice di aiutare i migranti a casa loro deve sapere che l’Ue dà tre miliardi di aiuti ma ne ricava nove dall’export di armi in quelle terre. Nel 2014 è stato approvato un Trattato Internazionale, ratificato da 50 paesi tra cui l’Italia, che vieta di vendere armi a paesi colpevoli di genocidi, crimini contro l’umanità, violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949, ma non ci sono direttive comuni né sanzioni, c’è la scappatoia delle triangolazioni. Invece della cooperazione e della convergenza c’è competitività, le società industriali si posizionano sul mercato dell’esportazione e anche i governi.
Qualcosa di importante è stato fatto con la raccolta di firme che hanno portato all’eliminazione delle mine antiuomo e bombe a grappolo. L’analisi ha toccato anche la guerra civile dimenticata in Yemen, dove dal 2015 due fazioni si scontrano e l’Onu ha denunciato una diffusa violazione dei diritti. L’Arabia Saudita sta bombardando il capo che controlla la capitale Sana’a e appoggia la fazione del capo di Aden. Le vittime civili sono circa 30mila, colpite anche da bombe italiane.
(m.l.s.)