
Continuano a suscitare perplessità le disposizioni anticipate di trattamento. Emerge una visione segnata da un individualismo radicale che non tiene conto delle relazioni interpersonali
Il 13 marzo, alla Camera dei Deputati, si è svolta la discussione sulla legge del testamento biologico. Ci sono state quattro ore di discussione in un’aula deserta. La punta massima dei presenti è stata di 20 unità su un totale di 630. L’argomento è di quelli “sensibili” e non lascia indifferenti, tutta via sembra che nessuno se ne accorga. I media, stranamente, sono quasi silenti, anche se la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ha lavorato, malgrado forti contrasti interni, per far giungere velocemente il testo in aula, come è accaduto anche con la Legge Cirinnà sulle unioni civili.
Non si può non constatare come certe leggi riescano ad avere le approvazioni con velocità inconsuete per il Parlamento italiano, mentre altre vanno a passo di lumaca, rinviate dalla Camera al Senato e viceversa. Qualche esempio: non si sa quando vedranno la luce la legge elettorale e la riforma costituzionale, che sembravano fatte già l’indomani del referendum.
Comunque, per tornare all’attualità, la legge in discussione si chiama “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” e si propone di regolamentare la questione del fine vita. Nell’affrontare il tema non si può ignorare che ci sono diversi modi di intendere la persona, i suoi diritti, i suoi doveri.
Quella che sta emergendo nel nostro mondo è una visione segnata da un individualismo radicale. Scorrendo gli articoli della legge in discussione emerge chiaramente la centralità del singolo soggetto, chiamato alla sua autodeterminazione individualistica senza tener conto della relazione interpersonale tra paziente, medico e familiari. Il punto che fa discutere, anche se l’ideologia di fondo è quella descritta e difficilmente modificabile, è quello che introduce i “Dat”, cioè le “Disposizioni Anticipate di trattamento”.
Si legge: “Ogni persona maggiorenne in previsione di una propria futura incapacità di autodeterminarsi può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento (Dat), esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”. Di fronte a questa scelta assolutamente individuale la figura del medico viene ridotta a quella di un semplice esecutore di una volontà altrui, visto che, stando così le cose, la legge prevede che la volontà del paziente sia vincolante, non riconoscendo a chi lo ha in cura neppure la possibilità di agire secondo coscienza, in evidente contrasto con l’impegno ad agire “in scienza e coscienza”.
Nel testo non è prevista neppure alcuna forma di informazione sanitaria del paziente, ad opera del medico curante o di altri titolati, circa le conseguenze concrete delle sue scelte. C’è un appello del Centro studi Livatino, firmato da oltre 250 giuristi, tra cui i giudici emeriti della Corte Costituzionale Paolo Maddalena e Fernando Santosuosso, impegnati a vario titolo nella formazione, nell’attività forense e nella giurisdizione, nel quale si esprime una forte preoccupazione per le tematiche trattate. In questa proposta di legge “sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio”. La nutrizione e l’idratazione artificiali sono qualificati come trattamenti sanitari, non più considerati sostegni vitali, per cui possono essere sospesi come un qualsiasi farmaco.
Giovanni Barbieri