
Dopo il voto di domenica negli enti “resuscitati” dal referendum
Dopo l’esito del referendum costituzionale ed il “no” espresso dai cittadini alle modifiche avanzate dal governo Renzi, uno dei problemi presentatisi a livello istituzionale è stata la questione delle province. Questo ente è, infatti, esplicitamente previsto nella Costituzione, sia nel testo originario, ove si leggeva che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”, sia in quello modificato con la Legge costituzionale del 18 ottobre 2003: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”. Sparita la proposta di modifica, sono ricomparse le province, con i compiti affidati dalla Costituzione all’art. 118 (“funzioni amministrative proprie e (…) conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”) e 119 “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”.
L’unica differenza rispetto al passato è la trasformazione della provincia in “ente di secondo livello”, cioè che scaturisce da un complesso meccanismo che coinvolge sindaci e consiglieri dei comuni che ne costituiscono il territorio, con non pochi problemi, se si considera che si tratta di un voto viziato dall’essere i consigli comunali effetto di leggi maggioritarie, che non tengono conto dell’effettiva consistenza delle forze politiche sul territorio. Infatti, se in un comune delle dimensioni di Pontremoli, la lista A ottenesse soltanto un voto in più della lista B, alla prima andrebbero comunque il sindaco ed otto consiglieri ed alla seconda soltanto 4 consiglieri. È evidente come una simile situazione si ripercuote nel voto di secondo livello.
Per queste ragioni non sono mancate proteste domenica 8 gennaio quando alcune forze politiche (soprattutto la Sinistra e il Movimento 5 Stelle) si sono rifiutate di partecipare alle operazioni elettorali, reputandole non coerenti con la Costituzione in quanto correlate ad una normativa nata per anticipare una scomparsa non avvenuta.
Comunque, come già a Massa Carrara lo scorso 11 dicembre, anche altrove si è andati alle urne. Per quanto ci riguarda da vicino, si è votato alla Spezia, dove il Centrosinistra, riconfermato alla guida dell’ente, si è aggiudicato 6 seggi, mentre i restanti 4 sono andati alla lista concorrente (Per la Spezia elezioni provinciali 2017). Molte le province toscane dove si è votato.
A Grosseto per la prima volta sarà un esponente del Centrodestra a gestire la provincia: Antonfrancesco Vivarelli Colonna, sindaco di Grosseto, che ha battuto Giancarlo Farnetani del Centrosinistra, mentre alle due liste in lizza sono andati cinque seggi ciascuna.
Interessante anche l’esito di Livorno, il cui capoluogo è guidato dal sindaco Nogarin del Movimento 5 stelle. Qui il Pd ha confermato la sua preminenza con 8 consiglieri, mentre le altre forze presenti in Consiglio provinciale sono il Centrodestra ed Assemblea democratica, entrambe con due seggi. Stessa sorte a Pisa (il Centrosinistra 8 consiglieri e il Centrodestra 4), Pistoia (Democratici e socialisti: 8; Provincia alternativa: 2), Prato (Centrosinistra: 8; Centrodestra: 2, con la conferma del sindaco del capoluogo, Matteo Biffoni, al vertice dell’ente) e Siena (Centrosinistra: 8; La Provincia dei cittadini – Siena – Liste civiche: 2).
Niente di nuovo per le province che confinano con la nostra; a Parma e Reggio Emilia si era votato il 21 dicembre e nella prima 3 seggi erano andati alla lista Provincia nuova, 5 al Pd e 4 a Insieme per il territorio, con il presidente Filippo Fritelli (PD) in carica per ancora i prossimi due anni, nella seconda 8 seggi erano andati al Pd e due a Terre reggiane. Più “attempata” la provincia di Lucca, con il presidente Luca Menesini (PD) in carica dal 2015 ed il consiglio formato da 8 esponenti del Pd, 3 di Alternativa civica centrodestra e 1 dell’Altra provincia per il bene comune.
Giulio Armanini