
Un villaggio mille anni fa ricco e potente ed oggi un insieme di ruderi che l’archeologia riporta lentamente in luce: per secoli ha vigilato su un territorio coltivato a terrazzamenti e su un’importante strada militare e commerciale tra Aulla e Sarzana, strada che oggi è tornata ad essere percorsa dai pellegrini della Francigena. Monica Baldassarri, archeologa dell’Università di Pisa, da 15 anni segue gli scavi del castello della Brina, posti sul colle tra Ponzano superiore e Sarzana e ne ha illustrato gli affascinanti risultati nel corso di un incontro promosso dagli “Amici di Luni”.
Lì già nel V-IV secolo a. C. le tribù liguri-apuane avevano eretto le capanne di un villaggio: gli abitanti utilizzavano il bosco, praticavano l’agricoltura ed erano aperti al commercio, come provano, oltre alle ceramiche locali, anche stoviglie provenienti dai traffici marittimi.
Dopo la vittoria dei soldati romani sulle tribù liguri, sull’insediamento della Brina cadde il silenzio. Poi, intorno all’anno mille, forse già nel IX sec., quella potente famiglia dei da Burcione (che già aveva incastellato il colle che sovrasta Aulla e ancora oggi mantiene nel toponimo il suo nome) sulla sommità del colle eressero un primo castello con capanne e palizzata in legno, così come erano costruiti tutti i castelli dell’epoca, compreso quello che Adalberto I aveva eretto ad Aulla.
Probabilmente i da Burcione erano legati per parentela agli Obertenghi e proprio per questo fu loro possibile incastellare colli così vicini a Luni. Nello stesso periodo nel quale si costruisce la terza chiesa dell’abbazia di Aulla (tra metà del X e gli inizi del sec. XI) il castello della Brina sembra passare, per le complesse dinamiche familiari dei da Burcione (alcuni si schierano con i Malaspina, altri con il vescovo, nel 1078 Pellegrino da Burcione vende case e terre attorno alla Brina), nella sfera d’influenza del vescovo di Luni. Il castello viene ricostruito in pietra e la potenza economica è evidente oltre che nell’uso di pietrame calcareo trasportato da lontano, anche da uno straordinario e ingegnoso meccanismo per impastare pietre e malta senza l’utilizzo ben più faticoso della pala: ci si può domandare se ad operare non siano state le stesse maestranze che lavoravano ad Aulla.
In quell’epoca, prima ancora della strada (dopo l’ XI secolo si affermerà la via dei monti) per l’economia della Brina era ancora importante l’agricoltura: molte sono le tracce di tostatura di cereali in vista della conservazione in silos, lavoro affidato alle donne che, mentre erano dedite alla tostatura, si dedicavano anche alla filatura, come raccontano le fusaiole ritrovate accanto al focolare.
Nella discarica trovata ai piedi della residenza signorile sono stati rinvrnuti oggetti che provano modi di vivere comuni a quelli rintracciati nei castelli signorili europei: pedine da gioco in osso, manici di posate ed anche i resti di un grifone utilizzato dal signore per la caccia al posto del falco.
Quando il vescovo guerriero Enrico da Fucecchio si insedierà in diocesi, ricostruirà il cassero di Caprigliola, ma anche il castello della Brina sul quale aveva posto le sue mire, essendo situato sulla strada dei monti che lo portava da Luni nei suoi territori della val di Magra. Il dominio sulla Brina il vescovo Enrico lo esercitò occupandolo con la forza nel 1279 e facendo tagliare letteralmente la testa agli emissari dei Malaspina, giunti al castello a parlamentare, e obbligando poi i residenti a giurare a lui fedeltà. Così nacque il contrasto sulla Brina con i Malaspina, risolto con la cosiddetta pace di Dante del 1306: dopo quella data la grande torre fu demolita, la vegetazione invase e coprì le macerie del villaggio, la zona fu ridotta a pascolo e quando nel 1543 i Centurione di Aulla comprarono la Brina vi era rimasta soltanto la dogana di Sarzana.
Sull’altro versante, sopra Aulla, i vasti ruderi dei signori di Burcione aspettano ancora un’indagine archeologica che ne chiarisca l’importanza e la misteriosa distruzione.
Riccardo Boggi