Migrazioni: parole e immagini ingannevoli

Una ricerca smaschera i luoghi comuni

migrantiLe parole che si utilizzano quando si discute di migrazioni sono veicolate dai luoghi comuni. Non ce ne sono nemmeno molti, ma quei pochi risuonano insistenti in giro come un ritornello. Si radicano nella mente delle persone, ma non aiutano a comprendere un fenomeno e nemmeno ad affrontare le situazioni concrete. Anzi alimentano l’opinione pubblica con informazioni che non corrispondono alla realtà; il risultato è che c’è una parte di società che cede alla paura e domanda sicurezza perché si percepisce vulnerabile. Molti studi sottolineano una rappresentazione stereotipata e scorretta delle questioni migratorie nei mass media. Una ricerca, pubblicata da Giovanni Brancato, Alessandro Ricci e Melissa Stolfi, evidenzia come i talk show italiani inquadrano il fenomeno migratorio.
La presenza nelle trasmissioni esaminate emerge in alcuni momenti precisi: quando avvengono eventi terroristici o quando accadono episodi di criminalità; oltre a ciò, le notizie di migrazione spesso collocate vicino alla cronaca nera.
Un’altra questione che si affronta nelle trasmissioni riguarda i costi dell’assistenza che ricadono sul nostro welfare. Emergono così alcuni sentimenti che si propagano: rabbia, impotenza, vulnerabilità, impoverimento, indebolimento delle nostre risorse. Anche dalle immagini si può verificare la debolezza e la povertà della narrazione mediatica attuale. Lo dimostra una sociologa, Milena Meo che in un articolo, intitolato “Immagini dal confine. Migranti, spazi simbolici e ordine politico contemporaneo”, riporta dati significativi a partire da una semplice ricerca di termini sul motore Google.
Inserendo due semplici parole “migranti” e “Lampedusa” emergono risultati che smascherano i luoghi comuni. Appaiono ad esempio 8.030 notizie, che però sono legate soltanto a 700 immagini. Questo significa che si ripropongono immagini standard per sostenere articoli diversi.
Quando poi si analizzano le immagini si individuano alcuni elementi caratteristici: barconi, corpi in mare. Spiega la sociologa che la combinazione di questi elementi crea un confine tra un “noi” conosciuto e un “altro” indistinto che è visibile come gruppo, ma invisibile come singolo distinto tra gli altri. In un caso e nell’altro, con le parole e con le immagini si veicolano messaggi imprecisi che non raccontano la vita dei migranti in Italia, né l’effettivo contributo che danno alla crescita del nostro Paese, ma affiancano elementi che a volte non hanno connessioni reali.
Si parla poco invece dei cittadini stranieri che si sposano in Italia e mettono su famiglia, che cercano di vivere nel rispetto delle leggi e delle altre persone, di quelli che frequentano le scuole da studenti, degli oltre 4 milioni che lavorano, producendo ricchezza proprio qui dove siamo anche noi.