Quegli allevamenti di maiali tristemente vuoti in Lunigiana

Peste dei cinghiali, norme restrittive, lentezze burocratiche mettono in crisi le aziende

Un allevamento di suini
Un allevamento di suini

Da anni gli agricoltori lamentano i troppi danni alle colture arrecati dagli ungulati, ma a quanto pare la situazione non accenna a migliorare perché la popolazione di animali selvatici come caprioli, istrici, tassi etc… sembra crescere anno dopo anno.

Ma certo è la presenza dei cinghiali ad arrecare i danni maggiori e a preoccupare di più: un branco è in grado di distruggere nel breve volgere di una notte ettari di coltivazioni e basta percorrere le nostre strade verso i paesi di mezza costa perché ci si renda conto di quali e quante “arature” questi animali siano capaci arrecando gravi danni ai prati e ai pascoli. Fino ad oggi le sollecitazioni e le proteste di imprenditori agricoli, singoli o in gruppo, e iniziative di associazioni di categoria non hanno portato alla soluzione del problema e i timidi correttivi messi in atto non hanno soddisfatto nessuno.

Un branco di cinghiali
Un branco di cinghiali

E la novità degli ultimi dodici mesi non è stata certo positiva: l’epidemia di peste suina africana riguarda direttamente tutto il territorio visto il ritrovamento di carcasse di cinghiali infetti in alcuni dei comuni della Lunigiana (Zeri, Pontremoli, Aulla…) hanno portato all’emissione di norme pesanti e restrizioni immediate sia per il settore zootecnico che per la caccia. Un esempio per tutti: nella primavera 2024 gli allevatori locali di suini non hanno potuto acquistare i piccoli da allevare, mentre in autunno i cacciatori hanno dovuto lasciare le doppiette negli armadi blindati.

Risultato? In questa stagione le uniche macellazioni di maiali sono state quelle effettuate nel mattatoio di Pontremoli su capi importati dagli allevamenti della provincia di Parma. I nostri vicini, da dove la pesta suina e arrivata ma dove sono state effettuate le battute ai cinghiali (si parla di oltre quattrocento capi abbattuti nei territori dei comuni confinanti con il Pontremolese contro nemmeno un paio di decine nel nostro versante.

E che dire degli allevamenti che lavorano a pieno regime mentre i nostri sono desolatamente vuoti? Un doppio peso, dunque, sulle spalle di agricoltori e allevatori: da un lato il blocco della caccia al cinghiale fa crescere la preoccupazione per l’aumento incontrollato del numero di questi animali particolarmente prolifici con probabili nuovi e ingenti danni alle colture; dall’altro una situazione normativa e controlli che non aiuta a riportare i suini nelle stalle.

Nicola Baldini con i figli è uno dei maggiori in questo campo con l’Azienda Agricola “I Sapori dei Chiosi a Pontremoli” dove fino al 2023 crescevano decine di maiali poi sapientemente trasformati in prodotti prelibati. Dalle sue parole emerge grande amarezza: “lo scorso anno abbiamo seguito scrupolosamente le prescrizioni di ASL e Regione Toscana investendo molte migliaia di euro per adeguarci – ci spiega – e a settembre eravamo pronti, in attesa del sopralluogo che però è arrivato solo il mese scorso con il risultato che non abbiamo potuto acquistare i piccoli da allevare e, anzi, ci sono state presentate nuove prescrizioni. Difficile pensare di poter andare avanti così, sembra proprio che si voglia favorire la chiusura delle aziende anziché trovare soluzioni”.

Lo scorso anno anche l’azienda dei Chiosi, vista l’impossibilità di allevare nuovi capi si è vista costretta ad acquistare maiali adulti in allevamenti selezionati parmensi con un notevole aumento dei costi e il rammarico di poterli crescere con i prodotti che si producono in loco e seguirli giorno dopo giorno nella loro crescita. E anche quest’anno, per il momento, non si vede una prospettiva in tal senso.

Paolo Bissoli

Macellazione e trasformazione del maiale: una tradizione quest’anno negata

Quello che è accaduto nell’ultimo anno è un danno per tutto il territorio che si somma al rammarico di tutte quelle famiglie, decine e decine, che ogni anno con l’arrivo dell’inverno vedeva rinnovarsi l’antico e atteso appuntamento con la macellazione dei suini e la loro trasformazione in prelibati salami e filetti. Una tradizione antichissima e un momento atteso da schiere di buongustai, che iniziava alle prime luci dell’alba con l’arrivo del norcino di turno Un nostro abbonato e lettore fedele ci ha citato uno dei nomi più conosciuti, Luigi Leoncini, per tutti “Gino del Cerg”: non c’è casa nel filattierese e non solo dove non fosse atteso alle prime luci del giorno per l’uccisione e la macellazione del malcapitato animale.

Il maiale, allevato con amore e passione per lunghi mesi, veniva dissanguato e steso su una scala di legno per essere poi privato del pelo, diviso in due mezzene e “smontato”. Iniziava così una lunga giornata di lavoro: si mettevano da parte i pezzi “grossi” (coppe, filetti, culatelli, spalle, pancette…), si macinava la carne per salami, mortadelle e cotechini, ma si approfittava dell’ospitalità di casa con ripetute colazioni e merende preparatorie del pranzo e della cena. Per ultima ecco la lunga lavorazione per la “testa in cassetta” con la carne nel grande pentolone sul fuoco per tre ore. Purtroppo quest’anno c’è stato solo il ricordo e l’inverno se ne è andato senza che il rito potesse ripetersi: tutti si augurano che possa tornare quanto prima, ma non sarà facile.