

Sulla scena del dibattito europeo ha fatto irruzione negli stessi giorni del pronunciamento dell’Europarlamento sul “Libro bianco sul futuro della difesa europea”, “una piazza per l’Europa”, la manifestazione del 15 marzo a Roma nata da un articolo di Michele Serra su Repubblica.
Un evento affollato oltre le previsioni, ma che ha messo in luce molte incertezze. La prima: ad una manifestazione esplicitamente europeista e senza bandiere di partito hanno preso parte solo partiti e associazioni in qualche modo riconducibili al centrosinistra.
Preso atto delle posizioni anti Ue di Salvini, di quale europeismo sono fautori Giorgia Meloni – per il cui ingresso nella maggioranza europea si è tanto spesa Von der Leyen – e Antonio Tajani, membro di punta del Ppe? Non è dato saperlo.
Certo, il generico e ambiguo manifesto programmatico che indiceva il raduno di Piazza del Popolo non aiutava: temi come la difesa comune, Rearm Europe, i meccanismi decisionali, la direzione dell’integrazione politica comunitaria, l’austerità di bilancio scomparivano in un europeismo molto retorico: non basta sventolare una bandiera per rilanciare un progetto messo in crisi dai nazionalismi e dagli approcci tecnocratici.

In piazza, a giudicare dai reportage e dalle testimonianze di chi c’era, si è radunato un popolo piuttosto attempato (si dovrà prima o poi discutere dei giovani e con i giovani sulla loro energia inespressa), tendenzialmente contrario a Rearm Europe, fautore di una maggiore integrazione politica dell’Unione e di una difesa dei diritti civili messi in discussione dai sovranisti, politicamente associabile all’area centrista e liberale dell’opposizione.
L’evento europeista ha inoltre posto non pochi dubbi sull’influenza che esercitano i corpi intermedi sulla società. Un giro sul web nei giorni precedenti il raduno ha fatto capire che all’adesione delle più significative organizzazioni della sinistra, a partire da Cgil e Anpi, ha fatto da contraltare la contestazione fragorosa dei loro aderenti, che hanno disertato Piazza del Popolo convinti che una loro presenza rafforzasse la posizione “armata” delle istituzioni europee.

La stessa dinamica ha riguardato anche l’associazionismo cattolico: molte le associazioni e i movimenti laicali che hanno risposto “sì” alla convocazione, ovviamente tra quelle che guardano con più simpatia al centrosinistra, ma molto più distaccata e guardinga la posizione dei loro aderenti.
Sono segnali di una discrepanza tra basi e vertici da non sottovalutare. Il palco ha restituito la consistenza programmatica sostanzialmente nulla dell’intervento di Michele Serra, che si è accompagnata ad una sorta di suprematismo continentale veicolato da Roberto Vecchioni, che ha elevato la cultura europea a cultura superiore alle altre, e da Antonio Scurati, che ha mondato l’Europa dei suoi peccati (“noi non bombardiamo”, “noi non priviamo la libertà”, etc.) omettendo il doppio standard applicato dall’Europa a dittatori e guerre ancora in questi anni.
Abituati ad una storia in cui le élite guidano le masse, a Roma, sabato, è parso di vedere piuttosto una piazza più consapevole della realtà rispetto all’élite che stava sul palco: il segno di tempi molto confusi e incerti.
(d.t.)