
Poca inquietudine, molto moderatismo. I fermenti nel campo ex popolare e le frizioni con il resto del centrosinistra sono emersi nei convegni di Milano e Orvieto. Cattolici democratici in cerca di rilancio, in un contesto che richiede radicalità e non solo rincorse al centro
Si registra un certo attivismo in quel che rimane del cattolicesimo politico in Italia. Più a sinistra che a destra, a dire il vero. Perché il campo conservatore è da decenni il porto sicuro di quel cattolicesimo che misura la sua appartenenza con l’antico metro dell’anticomunismo, che si mostra intransigente sulle questioni etiche, liberale in economia ed è timoroso delle trasformazioni della società e del costume: manifestazioni di un pensiero politico in larga parte sovrapponibili tra di loro, che dai partiti di destra ottengono visibilità ricambiata con l’apporto di una cultura cristiana che in questi decenni è stata utile a colmare i vuoti valoriali di alcune formazioni.
Nell’area progressista, invece, è in corso un travaglio che coinvolge le principali culture politiche ad esso afferenti.

Tra queste quella cattolico-popolare, nelle ultime settimane in deciso fermento, con l’enfasi su un possibile ruolo di Ernesto Maria Ruffini, dimissionario dall’Agenzia delle Entrate e “benedetto” da Prodi come possibile “federatore”, e con i convegni di sabato a Milano e Orvieto: il primo promosso dall’ex ministro Graziano Delrio, ospiti Ruffini, Prodi, Castagnetti, per lanciare un nuovo soggetto cultural-politico denominato “Comunità Democratica”.
Il secondo, che ha radunato la corrente di Libertà Uguale, con gli ex parlamentari Pd Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini e l’ex commissario Ue Paolo Gentiloni.

I due raduni hanno fatto seguito a mesi di “lamentazioni” degli ex popolari del Pd – la formazione che ha il cattolicesimo democratico tra le sue culture costitutive – per una presunta emarginazione dai ruoli di vertice e per un eccesso di radicalismo attribuito alla segretaria Schlein, due accuse che, al riscontro dei fatti, si fa fatica a confermare.
Soprattutto al convegno di Milano si è assistito alla rivendicazione di un protagonismo politico, che non è stato sottratto agli ex popolari, quanto piuttosto ceduto dagli stessi.

In 18 anni di Partito democratico, la componente cattolica, ha accettato e sostenuto convintamente tutto: partiti liquidi e ditte, governi tecnici, larghe intese, l’esperienza renziana, l’alleanza e la rottura con i 5 Stelle, garantendosi posti e visibilità rinunciando ai suoi caratteri costitutivi: la cultura della mediazione immolata sull’altare della vocazione maggioritaria e delle riforme a maggioranza; il primato dei corpi intermedi sacrificato alla disintermediazione; l’attenzione ai problemi sociali spazzato via dal sostegno agli approcci tecnocratici; il silenzio sul tema della pace, non solo quella immediata, ma nemmeno quella da raggiungere in termini di orizzonte, anche con riferimento ai conflitti più laceranti; in politica estera a Orvieto si è assistito alla conferma che l’atlantismo moderato, attento alle dinamiche mediterranee e con un’Italia dialogante con tutti, figlio dell’era DC, ha lasciato il posto all’atlantismo più assertivo e acritico.

(Photo European Parliament)
Mentre a Milano, decontestualizzando con poco tatto l’azione politica del defunto David Sassoli, si è guardato con positivo interesse alla maggioranza politica – che incorpora anche la destra di Meloni – che sostiene Ursula Von der Leyen.
L’analisi di errori e perdite di credibilità non pare siano stati all’ordine del giorno nei due meeting. A Orvieto si è riflettuto su come sottrarre alla destra il tema della sicurezza e con Gentiloni si è celebrata la politica economica dell’austerità confermata a livello comunitario. A Milano si è parlato genericamente di come favorire un ritorno alla partecipazione democratica e di programmi per la famiglia.
I due convegni hanno messo in luce la tendenza ad un centrismo moderato da opporre alla caricatura di un asserito “estremismo” Pd, anziché alla rielaborazione di un cattolicesimo democratico che nominalmente continua a rifarsi al magistero sociale della Chiesa ma che ha ignorato i nuovi orizzonti di questo cambiamento d’epoca delineati a partire dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI fino alla Fratelli tutti e alla Laudato si’ di Francesco. I “cristiani inquieti” e capaci di radicalità prefigurati da Papa Bergoglio sono altra cosa rispetto al moderatismo con il quale gli eredi del popolarismo pensano di raccogliere voti contro la destra: nelle politiche sociali ed economiche, nella costruzione di una società più inclusiva, nella salvaguardia del Pianeta, nelle relazioni internazionali.
Da questa prospettiva, quello che si osserva è un cattolicesimo democratico in declino e sconsolatamente orfano di futuro. Vedremo se dalla miriade di iniziative “dal basso” nate in tante parti d’Italia sulla scia dell’effervescenza emersa dalla 50° Settimana sociale dei cattolici italiani, lo scorso luglio a Trieste, potrà nascere nel mondo cattolico riformatore una nuova passione politica che si traduca non in spazi da occupare, ma in processi da avviare, capace di dare il suo contributo al consolidamento della democrazia in crisi e a ricucire una società italiana lacerata.
(Davide Tondani)