Volontariato: è necessario supportare chi si adopera per la solidarietà

Trento capitale europea del volontariato per il 2024: in città sono attive 600 associazioni. Nel rapporto Istat ecco la realtà italiane e le sue prospettive tra volontari effettivi e quelli potenziali

“Fare volontariato significa coltivare la felicità e io non potrei immaginare un riconoscimento più bello per la nostra città di quello che abbiamo da poco ricevuto: è un attestato che ci riempie di gioia, orgoglio e responsabilità. Quello che verrà non potrà infatti essere un anno di mera celebrazione del volontariato, sarà piuttosto un anno di impegno a favore della comunità per poterci ritrovare alla fine dell’anno prossimo e affermare di aver compiuto passi importanti nel supportare chi si adopera per la solidarietà”.
Così il sindaco di Trento, Franco Ianeselli, ha presentato “Trento capitale europea del volontariato 2024”. Non si tratta soltanto di onore, la scelta è arrivata grazie alle attività che si svolgono sul campo.

(Foto Paolo Giandotti – Ufficio Stampa Presidenza della Repubblica)

L’avvio ufficiale è toccato al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 3 febbraio, ma avviene nel contesto di una città estremamente sensibile al sociale: una persona su cinque fa volontariato e in città sono attive 600 associazioni impegnate in ambiti diversi, dal sociale all’ambiente.
Il supporto dell’Amministrazione comunale è sostanzioso: mette a disposizione 263 spazi per le sedi, spesso condivise, delle associazioni; 46 magazzini per un totale di 2.400 metri quadrati e ben 17 orti comunali per altri 45.000 metri quadrati. Sono numeri importanti e permettono di capire il motivo della scelta.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia di apertura di “Trento Capitale europea e italiana del Volontariato 2024.
(Foto Paolo Giandotti – Ufficio Stampa Presidenza della Repubblica)

Per non perdere tempo già si è tenuto un convegno organizzato da “Euricse” (l’Istituto europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale), e da “Labsus”, il Laboratorio per la sussidiarietà, che ha un obiettivo ben preciso, fondato sulla certezza che le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità e che è possibile che queste capacità siano messe a disposizione della comunità.
L’analisi parte dai dati Istat che fotografano un cambiamento in atto nel mondo del volontariato. Secondo l’Istat (gli ultimi darti risalgono al censimento del 2021), ci sono ancora 4,6 milioni di italiani che continuano a spendersi gratuitamente a favore del prossimo.
L’Euricse, in una indagine pubblicata nel maggio 2023 e che prende in considerazione il periodo 2015-2021, registra un calo dei volontari nelle associazioni del 15%, ma in una indagine successiva che prendeva in considerazione il decennio 2011-2021 il calo era soltanto del 2% constatando anche che il numero delle istituzioni non profit era aumentato del 20%.
Questo significa che le associazioni diventano più piccole e più snelle nello svolgimento delle attività. Non va dimenticato che c’è stata una pandemia che sicuramente ha creato un problema determinando una generazione “fragile”, e quando i giovani decidono di impegnarsi sono spesso instabili, “fanno esperienza”, cambiano spesso attività, non sono assimilabili al tradizionale volontario ultracinquantenne che opera in ambienti strutturati, con impegni fissi e tempi certi.
Tuttavia Chiara Tommasini del presidente del “CvsNet”, la rete nazionale dei Centri servizi del volontariato, ha sottolineato ch,e siccome “i territori raccontano fenomeni di volontariato in movimento: ci si può attivare su base personale per le grandi calamità, in modo episodico, oppure per fatti legati a grandi eventi”, bisogna “riuscire a intercettare la voglia di impegno di tanti cittadini” nelle città, nelle periferie, nei paesi nei luoghi di prossimità”. Per questo sarà necessario aumentare l’interesse verso i “volontari potenziali”.
La ricerca Euricse consegna dati interessanti: la quota di “volontari potenziali” è pari al 20,8% ma solo il 7,1% si dichiara disponibile “senza condizioni” e dunque “pronta” – se adeguatamente “intercettata” – a operare all’interno di un Ente di Terzo settore”.  Il passaggio da uno status di “volontari in potenza” ad uno di “volontari effettivi” necessita, infatti, di un percorso di riflessione e di verifica, da parte dei cittadini.
Dice la ricerca: “Molti dei volontari potenziali che abbiamo identificato quantitativamente sono destinati a restare tali, per ragioni che in parte riguardano il proprio contesto di vita, in parte la capacità delle organizzazioni di accogliere al proprio interno i nuovi volontari, valorizzandone le caratteristiche personali, assecondandone le esigenze di compatibilità con altri aspetti che sono altrettanto rilevanti, come la famiglia, il lavoro, lo studio”.
L’idea di fare volontariato all’interno di una dimensione associata e organizzata continua a trovare la sua espressione più consona, ma vale la pena notare che il 5,9% degli interpellati svolge attività di volontariato in altre forme, prevalentemente non organizzate. Se si considera che quasi il 37% delle persone, poste di fronte all’ipotesi di un loro futuro impegno volontario, dichiarano di preferire una modalità non strutturata di coinvolgimento, si può immaginare che quel 5,9% sia destinato a consolidarsi e ad accrescersi per sfociare in un volontario, con modalità nuove, come per esempio il coinvolgimento in reti di cittadini non formalizzate, ma comunque effettive sul piano delle attività verso il territorio e rilevanti sul piano della soddisfazione soggettiva”.
Il volontariato è chiaramente in una fase delicata. Gli studi e le iniziative di questo anno serviranno sicuramente ad ridare ossigeno alle associazioni di volontariato, ma dovranno anche alleggerire le pastoie di una burocrazia che sta assorbendo energie tali da far dimenticare, a volte, le finalità del volontariato stesso.

Giovanni Barbieri