
Nell’Eremo di Adelano si segue l’antica e rigorosa tradizione dei conventi francescani

“Quando i frati arrivano in un luogo dove non hanno dimora, e trovano qualcuno che vuol dare loro del terreno da potervi edificare una casa e avere l’orto e tutte le cose indispensabili, per prima cosa considerino quanta terra sia loro sufficiente, sempre avendo di mira la povertà e il buon esempio che siamo tenuti a dare in ogni cosa”. Così, ricordando le “disposizioni” che San Francesco impartiva ai suoi frati in merito alla scelta dei luoghi dove insediarsi, fra’ Cristiano Venturi – custode dell’Eremo di Santa Maria Maddalena ad Adelano – inizia la sua “lettera” periodica indirizzata agli amici e intitolata, questa volta, “L’orto dei semplici”. Nella loro nuova casa i frati avrebbero condotto “una vita semplice, laboriosa, sobria, vissuta in ‘perfetta letizia’, mai sentendosi sminuiti nello stare tra persone umili, anzi, per questo reputando se stessi privilegiati nel vivere da poveri tra i poveri”. In piena sintonia con la “Regola” francescana anche all’Eremo di Santa Maria Maddalena, come da tradizione, fra’ Cristiano coltiva piante aromatiche, officinali e medicamentose e raccoglie fiori, bacche e frutti spontanei (tarassaco, verbasco, robinia, biancospino, bacche di ginepro, sambuco, frutti di mirtillo, lampone, mora, prugnolo selvatico, cinorrodi di rosa canina, ecc.).

“In questi giorni – dice – vengono raccolte le infiorescenze della profumatissima rosa centipholia, una particolare cultivar di rosa ‘antica’ non rifiorente, varietà un tempo molto diffusa nei conventi e nei monasteri, coltivata per la preparazione di efficaci rimedi galenici o impiegata, per le ottime caratteristiche edibili, nella confezione di confetture, confetti, acque depuranti, liquori, rosoli ed elisir”. Per questo utilissimo fiore, che limita la sua fioritura a poche settimane nel periodo primaverile, il barone Giuseppe Donzelli di Digliola (1596 – 1670), valente medico e farmacista, nella preparazione dello sciroppo indicato nella cura di diverse affezioni, consigliava agli speziali di raccogliere i petali di rose al crepuscolo e aggiungere all’acqua di infusione “zucchero bianchissimo polverizzato” e una giusta quantità di succo di lustrino (un limone a scorza “gentile”). Portata due volte a bollore avrebbe acquisito un bel colore rosso purpureo “segno inseparabile della perfezione della sostanza”, adatta a placare la sete, le febbri e le “affezioni del torace e del ventricolo”, ma anche i dolori articolari. Naturalmente l’acqua deve essere pura di fonte. “La terra – spiega fra’ Cristiano – fu da sempre uno dei lavori principali nei monasteri e nei conventi: campi, vigneti, selve erano meticolosamente piantumate e seminate, a garantire il sostentamento di monaci e frati, nelle grandi abazie come nei conventi e negli eremi”. Nella tradizione monastica medioevale una porzione di terra, distinta dalle altre, gelosamente custodita e protetta da muri, era l’ordinato “giardino recintato”, l’hortus conclusus che, oltre l’innegabile utilità di produrre erbe aromatiche e piante officinali, aveva una funzione spirituale: rappresentare cioè idealmente in terra una porzione del Paradiso.

“Evidenti richiami ai testi biblici – continua il custode dell’Eremo di Adelano – ne facevano un luogo privilegiato all’interno delle mura claustrali. L’acqua del pozzo, a simboleggiare la fonte dell’esistenza; un albero rigoglioso, a figura di quello primordiale ‘della vita’, posto da Dio al centro del Giardino dell’Eden o richiamo di quello ‘della conoscenza del bene e del male’, che fu al principio della disobbedienza e del peccato originale”. La suddivisione quadripartita dell’hortus, spesso ubicato nel quadrilatero dei chiostri, con l’ordinata disposizione dei filari e delle siepi divisorie, le aiuole ben organizzate e distinte in “spartimenti”, stava a significare la perfezione del progetto della creazione e l’armonia del disegno divino opposto al disordine del caos. E la trasformazione del giardino nelle diverse stagioni testimoniava il ciclo della vita, la sua caducità, il suo rinascere immortale dopo la morte. “Come nell’hortus conclusus della tradizione monastica, nell’hortus franciscanus elemento essenziale è l’acqua – continua ancora fra’ Cristiano – non un pozzo, però, bensì una fonte di acqua sorgiva, fresca, libera e zampillante, quella che Francesco chiama ‘sorella’ e dice essere ‘multo utile, humile, pretiosa et casta’. Il gorgoglio giocondo dell’acqua ricordava costantemente ai frati la sorgente a cui abbeverarsi: il Cristo, la fonte pura e cristallina della grazia”. Una parte dell’hortus era destinata alla coltivazione delle “semplici”, cioè tutte quelle varietà di piante ad uso medicale conosciute fin dall’antichità, ed era chiamata hortus simplicium, anche detto hortus medicus. Qui venivano messe a dimora piante officinali e aromatiche dalle indiscusse o presunte proprietà medicamentose, erbe annuali e arbustive perenni, piante da fiore e da frutto.
Paolo Bissoli