Sulle Apuane il bivacco Aronte diventa bene di interesse storico, ma i piani estrattivi del comune di Massa prevedono la riapertura di 7 cave, anche in area Parco

Il Bivacco Aronte sulle Alpi Apuane, ha ottenuto da parte del Ministero dei Beni Culturali il riconoscimento di ‘Bene di interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico’
Il Bivacco Aronte sulle Alpi Apuane, ha ottenuto da parte del Ministero dei Beni Culturali il riconoscimento di ‘Bene di interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico’

L’inevitabile tensione tra ambiente e lavoro continua a consumarsi sulle Alpi Apuane. Non solo a monte di Carrara, la capitale del marmo con le sue 80 cave attive, ma anche nella vicina Massa, dove la filiera del marmo rappresenta una realtà non meno importante. Di queste settimane è la notizia che il bivacco Aronte, posto a quota 1.642 metri, tra Monte Tambura e Monte Cavallo, ha ottenuto da parte del Ministero dei Beni Culturali il riconoscimento di ‘Bene di interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico’: una certificazione che sancisce la tutela giuridica del rifugio, una struttura a sesto acuto con facciata rossa a poche decine di metri dalla celebre Punta Carina. Un titolo, quello di bene di interesse artistico, senz’altro meritato: il bivacco eretto nel 1901, che deve il suo nome all’indovino del canto XX dell’Inferno della Divina Commedia – quello in cui Dante cita Carrara e “monti di Luni” – in 120 anni è stato testimone dalla raccolta della neve sul versante nord del Monte Cavallo per produrre ghiaccio; durante la seconda guerra mondiale ha assistito ai disperati scambi di sale massese contro derrate alimentari garfagnine e all’attraversamento della Linea Gotica di partigiani e alleati diretti nell’Italia già liberata; e poi le imprese di scalatori divenuti figure di riferimento dell’alpinismo.

Cave di Marmo nelle Alpi Apuane
Cave di Marmo nelle Alpi Apuane

Ma, per venire all’attualità, il bivacco Aronte è stato anche l’emblema dell’espansione senza limiti dell’attività estrattiva: il passo della Focolaccia, sul cui versante occidentale si trova il rifugio, è stato letteralmente abbassato di quota da anni di escavazioni, al punto che il bivacco, originariamente sotto la linea del crinale, adesso si trova sopra al di sopra, a sole poche decine di metri dagli ultimi sbancamenti, risalenti al 2011, anno in cui cessò l’ultima autorizzazione concessa. Situata all’interno del Parco regionale delle Alpi Apuane e posta ben al di sopra dei 1.200 metri di altitudine, quota a cui scatta la tutela del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, secondo gli ambientalisti la cava della Focolaccia semplicemente non avrebbe ragione di esistere. Negli anni scorsi, invece, l’iter per la riapertura della cava è ripartito. Nel 2019 il consiglio comunale di Massa, guidato dal sindaco leghista Francesco Persiani, approvò una variante al Piano acustico che declassò l’area del bivacco Aronte da protetta ad area industriale. L’iter per la successiva ripresa dell’attività estrattiva è testimoniato da una scheda tecnica che indica la quantità di marmo da scavare, le dimensioni della galleria e gli anni di autorizzazioni concessi: 50 mila metri cubi di estrazione per i prossimi 5 anni, con una menzione anche per il rischio di inquinamento di sorgenti. Assieme alla Focolaccia, dovrebbero essere altre 6 le cave da riaprire, secondo il Piano attuativo dei bacini estrattivi (Pabe), i cui contenuti sono stati svelati dal Comune di Massa due settimane fa.

Un gruppo di escursionisti attraversano le Alpi Apuane
Un gruppo di escursionisti attraversano le Alpi Apuane

Un piano, quello massese, attaccato dalle associazioni ambientaliste e culturali, oltre che per la riapertura delle 7 cave dismesse, per la scarsa tutela delle aree comprese nel Parco Regionale delle Alpi Apuane e per le quantità di marmo estraibili: Massa autorizzerà nei prossimi 10 anni 3,3 milioni di metri cubi di estrazione dei 4,5 totali che il Piano regionale cave concede al Comune da qui al 2038. Anche a Massa, dopo Carrara, si riaccende quindi il dibattito sul precario equilibrio tra sviluppo industriale e tutela ambientale. Il clima si è fatto subito incandescente, e non solo per lo scontro con il mondo ecologista rispetto al Pabe. Contro le determinazioni del comune si è posta anche la Regione Toscana, che ha impugnato in febbraio il Regolamento degli agri marmiferi approvato in consiglio comunale a fine 2020. Per Firenze il regolamento contrasta con la legge regionale 35/2015 e con le normative comunitarie perché concede l’allungamento delle concessioni anche in mancanza della lavorazione in loco del 50% del marmo estratto, riconosce di fatto concessioni perpetue e ammette forme di trasferimento delle concessioni a soggetti terzi non ammesse dalla legge. È di questo fine settimana, inoltre, il ricorso contro il Regolamento anche da parte dell’associazione dei concessionari degli agri marmiferi e cave di Massa: lo scenario è quello del tutti contro tutti.

(Davide Tondani)