
Si è svolta il 31 dicembre la 50.ma edizione

“Un abbraccio di misericordia”. È questo che parte da Sotto il Monte nella notte dell’ultimo dell’anno, per raggiungere ogni uomo e ogni donna d’Italia e del mondo.
Un abbraccio, come ha chiesto Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale per la pace – Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace -, rivolto anzitutto “a tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale”.
Nello stesso tempo un abbraccio che vuole circondare le coscienze di tutte le persone per interpellarle con serietà: “Davvero vogliamo la pace”? O piuttosto vorremmo “starcene in pace”? Così il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, ha raccolto e rilanciato il messaggio di Papa Francesco al termine della 50ª Marcia per la Pace del 31 dicembre – promossa da Cei, Caritas Italiana, Pax Christi e Azione Cattolica – che quest’anno è tornata a Sotto il Monte, nei luoghi di quel grande profeta di pace che fu Giovanni XXIII. Monsignor Beschi, in proposito, ha ricordato sia padre David Maria Turoldo, sia il cardinale Loris Francesco Capovilla, che nella sua lunga vita ha custodito e incessantemente riproposto il messaggio di Papa Roncalli. A Sotto il Monte, dopo un cammino nella tarda serata – inframmezzato da tappe di preghiera e testimonianze in particolare sul tema dei migranti – è approdata la Marcia, con la Messa conclusiva concelebrata da molti vescovi (c’era anche monsignor Luigi Bettazzi) e sacerdoti, in una tensostruttura piena di donne e uomini ben consapevoli del compito gravoso e allo stesso tempo entusiasmante di farsi “operatori di pace”.
“Perché la pace – ha detto ancora il vescovo Francesco, ricordando proprio le parole di Turoldo – non è americana, come non è russa, romana, cinese; la pace vera è Cristo”, quella novità che cambia il cuore di ogni persona. Una pace che non è irenismo, né sola tensione spirituale. Piuttosto assunzione consapevole di responsabilità, frutto della “coniugazione” di quei 4 verbi indicati da Papa Francesco ancora nel Messaggio per la Giornata: accogliere, proteggere, promuovere, integrare.
Davvero – ha provocato il vescovo, interpellando ogni cuore – l’aspirazione di tutti è la pace? Quella pace che, come ricordava Papa Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”, rimane “solo suono di parole”, se non è basata su un ordine “fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà”. Giustizia, carità, libertà: sono i nomi di Dio, come Pace è il nome di Dio. Dio che, una volta di più, nel Natale, assume il volto dei piccoli, dei poveri, dei migranti, dei rifugiati e di ogni persona che con consapevolezza e corresponsabilità si fa prossimo ai fratelli. Questo è il mandato che viene da Sotto il Monte e accompagna la Chiesa in un nuovo anno – ha concluso il vescovo Francesco – “di resistenza e di non rassegnazione, per tutta l’umanità”.