
Cento anni fa, voluto da Pio XI, si svolse pochi anni dopo la fine della Grande Guerra e nel contesto politico di quella che ormai era una piena dittatura

La Prima Guerra mondiale lasciò cicatrici profonde nella società. Alla fine del conflitto era ormai chiaro che il continente europeo avesse perso l’egemonia politico-culturale che aveva avuto per secoli.
Si cominciava ad aprire lo sguardo a quelle aree del mondo che ancora oggi chiamiamo “periferie”, ma che avrebbero assunto con il tempo sempre più importanza. Per i popoli europei il dopoguerra coincise con una fortissima crisi economica e una lacerazione del tessuto sociale, a causa delle disuguaglianze e del diffondersi di ideologie polarizzanti e contrastanti tra loro.
In un contesto nel quale gli echi del conflitto non si erano ancora del tutto sopiti, e dove una vera pacificazione sociale sembrava ancora lontana, la Chiesa fece sentire la sua voce tramite il Giubileo che si celebrò nel 1925.
Papa Pio XI, eletto tre anni prima, volle che i temi centrali delle celebrazioni giubilari fossero la pace e l’unità tra le genti. Il Giubileo si svolse in un contesto politico particolare: nel 1925 infatti l’Italia era ormai avviata a divenire a pieno titolo una dittatura.
Benito Mussolini, a capo del governo dal 1922, aveva già cominciato a minare le fondamenta del sistema democratico, facendo approvare una legge elettorale favorevole al partito fascista e relegando ad un ruolo di fatto notarile la figura del re. La persecuzione degli oppositori politici aveva raggiunto il suo culmine con l’omicidio Matteotti. Il discorso del 3 gennaio del 1925, nel quale Mussolini si prese formalmente la responsabilità dell’accaduto, fece da preludio alla trasformazione dell’Italia in un vero stato autoritario.
Nel corso dell’anno e di quello successivo vennero approvate infatti le cosiddette “leggi fascistissime”. Furono sciolti tutti i partiti e le associazioni non fasciste, soppressa ogni libertà di stampa e di parola, ripristinata la pena di morte. La separazione dei poteri fu legalmente stravolta, subordinando il parlamento al governo, e dotando il capo del governo di poteri spropositati.

I rapporti tra l’Italia e la Curia Pontificia si trovavano in una condizione precaria, non essendo stata ancora risolta la questione romana. I tempi però, rispetto al 1870, erano ormai cambiati, anche perché entrambe le parti avevano un interesse a giungere ad un’intesa. Fu lo stesso Papa Pio XI a manifestare fin da subito, anche con alcuni gesti simbolici, un atteggiamento di apertura verso lo stato italiano.
Appena eletto al Soglio Pontificio, nel 1922, decise di impartire la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia esterna della Basilica di San Pietro, che fin dal 1870 era rimasta chiusa, in segno di protesta per la fine dello Stato Pontificio. Il 25 luglio del medesimo anno pose fine al ritiro volontario dei Papi nei palazzi pontifici, uscendo sul sagrato della Basilica di San Pietro.
Fu sempre lui il primo Papa a benedire l’Italia come stato unitario. Già nella sua prima Enciclica, composta nell’anno della sua elezione, Papa Pio XI citò l’Anno Santo che si sarebbe tenuto nel 1925, augurandosi che potesse essere un’occasione di ritrovo e raccoglimento di tutti i vescovi, come segno tangibile dell’unità cristiana in un periodo di grandi divisioni.

Il Giubileo fu indetto il 29 maggio 1924, giorno dell’Ascensione, con la proclamazione della bolla “Infinita dei misericordia”. La Vigilia di Natale, con i primi vespri, avrebbe avuto luogo la cerimonia di apertura della Porta Santa, ed esattamente un anno dopo, il 24 dicembre 1925, si sarebbe richiusa.
Nel documento il Pontefice rivolse a tutto il popolo cristiano un accalorato invito a pregare per la pace, “non solo quella fissata dai trattati, ma quella che deve regnare nei cuori ed essere ripristinata fra i popoli”.
L’interesse verso la pace e l’unità dei popoli si vide anche nell’attenzione che in questo Giubileo fu riservata all’apostolato missionario. Lo stesso Pontefice, che divenne conosciuto come “Papa delle missioni”, diede l’impulso per l’avvio di missioni in tutto il mondo, soprattutto in Asia e in Africa, e inaugurò a Roma l’Esposizione Universale Missionaria.

Estesa su uno spazio di 6500 metri quadrati, la mostra, documentando l’attività della Chiesa nel mondo, costituì un elemento di richiamo per tutti i pellegrini. L’esposizione alla conclusione del Giubileo fu trasportata e riallestita nel Palazzo del Laterano, e diede vita al Museo Missionario Etnografico (oggi parte dei Musei Vaticani).
Durante il Giubileo vi fu un elevato numero di beatificazioni e canonizzazioni: si ricordano santa Teresa del Bambin Gesù, san Giovanni Battista Maria Vianney, noto come il curato d’Ars, e la beatificazione di Bernadette Soubirous (1844-1879), colei alla quale nel 1858 a Lourdes era apparsa la Madonna. Meno di quindici anni dopo il mondo sarebbe ripiombato in una guerra ancor peggiore di quella da pochi anni conclusasi.
Il Giubileo del 1925 seppe però dimostrare, di fronte ad un mondo che sempre più cercava di fare a meno di Dio, quanto fosse forte l’impegno della Chiesa e dei cattolici per una società più giusta ed unita.
Mattia Moscatelli