Quando il ritorno in ufficio  sa tanto di ritorno al passato

A quasi 5 anni dalla pandemia che fece scoprire il lavoro da remoto, le notizie sulle grandi aziende che hanno imposto il ritorno in ufficio hanno trasmesso l’idea della fine dello smart working.
Ma in Italia il numero di lavoratori da casa è sostanzialmente stabile. Una forma di lavoro che piace ai lavoratori e si sta evolvendo verso nuove forme. Con vantaggi anche per imprese e territori.

Cosa hanno in comune il più grande e-commerce del mondo, Amazon, la più importante banca statunitense, JPMorgan Chase, e UnipolSai, una delle compagnie assicurative più significative del nostro Paese?
Hanno tutte chiesto ai propri dipendenti di tornare in ufficio, diminuendo o limitando fortemente il ricorso allo smart working, alimentando l’idea che questa pratica sia in declino.
Se si osserva però la dinamica da una prospettiva più ampia, le cose cambiano. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano, il lavoro da remoto in Italia è tutt’altro che in declino: il numero di smart workers nel 2024 è sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 e per il 2025 si prevede una crescita del 5%. Il lavoro lontano dall’ufficio cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori.
Cala invece nelle PMI e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese e nella Pubblica Amministrazione. Un dato spicca sugli altri: lo smart working è una pratica diffusa e apprezzata e ben il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità.
È innegabile che ci siano anche aspetti negativi: l’isolamento sociale che ne può derivare, la difficoltà nel mantenere una chiara separazione tra lavoro e vita privata, la possibile mancanza di spazi di lavoro adeguati, le difficoltà di comunicazione, la ridotta capacità di supervisione e la diminuzione del senso di appartenenza.
Il limite più importante è probabilmente la minore efficacia delle attività di affiancamento e formazione, a discapito soprattutto dei più giovani. Ma i benefici sono comunque superiori. Grazie allo smart working, i lavoratori possono fruire di maggiore flessibilità e autonomia, di un migliore equilibrio vita-lavoro, di minori costi per trasporti e pasti fuori casa e di un miglioramento del benessere generale.
Per le aziende lo smart working si traduce in una maggiore produttività, una riduzione dei costi per gli uffici, una capacità di attrarre e fidelizzare talenti e in un maggior focus sui risultati, grazie alla formazione di una cultura orientata agli obiettivi piuttosto che al controllo della presenza fisica.
A livello collettivo il lavoro da remoto ha infine un impatto positivo sull’ambiente (la riduzione delle emissioni di CO₂ causata dagli spostamenti), garantisce una diminuzione della pressione sulle metropoli e quindi anche il ripopolamento, la valorizzazione e lo sviluppo delle cosiddette aree interne, come il progetto Start-Working Pontremoli sta dimostrando anche nel nostro territorio. Inoltre, il tempo “risparmiato” sui trasferimenti casa-lavoro è “tempo liberato” da dedicare non solo a se stessi, ma anche alla propria famiglia e alla comunità, diventando una risorsa per la società.
Molte imprese, uscendo dal dualismo lavoro in presenza/lavoro da remoto stanno andando verso un approccio “ibrido”. È il caso di Caffeina, un’agenzia di comunicazione digitale che ha adottato un approccio al lavoro in cui i dipendenti sono chiamati a lavorare presso una delle sedi fisiche (Parma, Roma, Milano) quando questo è necessario; quando non è richiesta la presenza fisica, possono lavorare da località vicine alle sedi aziendali (all’interno di un’area geografica che consente di raggiungere l’ufficio in circa un’ora e mezza) e per un massimo di due settimane consecutive hanno la possibilità di svolgere le attività lavorative da ovunque, in Italia o all’estero.
Un altro modello che sta prendendo piede è il near working, che prevede che i dipendenti operino in spazi di co-working o hub aziendali vicini alla loro abitazione, riducendo spostamenti e migliorando il bilanciamento vita-lavoro. Spazi come questi si stanno diffondendo ovunque – in Lunigiana esiste un coworking pubblico a Pontremoli – e all’interno si lavora accanto a persone che non sono colleghe, ma con cui si creano connessioni personali e professionali.
In sintesi, il lavoro da remoto non è solo una modalità di lavoro, ma una grande opportunità di rigenerazione personale, lavorativa, territoriale e sociale: i lavoratori possono migliorare il proprio benessere e raggiungere la libertà geografica, le aziende sono in grado di attrarre talenti da ovunque nel mondo e le aree interne possono ripopolarsi e innovarsi.
Queste opportunità richiedono però cambiamenti non solo metodologici e contrattuali, ma presuppongono una maggiore autonomia e “imprenditorialità” dei lavoratori, una cultura aziendale basata più sulla fiducia che sul controllo e delle comunità locali desiderose di accogliere, integrare e integrarsi con chi viene da fuori e ha modi di vivere, lavorare, pensare ed agire spesso diversi.
Lavoratori, imprese e comunità locali che saranno in grado di scommettere su queste tendenze potrebbero avere benefici immensi. Ma sulla consapevolezza di queste opportunità, c’è ancora tanto da lavorare. Da casa, possibilmente.

Andrea Angella
Giorgia Di Tria, Alice Pomiato
Progetto Start Working Pontremoli