
Il convegno a Mulazzo “Dall’esecuzione intramuraria alle misure alternative” organizzato dalla “Papa Giovanni XXIII”. Il Vescovo Fra’ Mario: “le carceri sono sinonimo di sofferenza”. La recidiva per chi esce dal carcere è dell’80% e si abbassa al 20% per chi vive l’esecuzione pena con le misure alternative

Venerdì 6 dicembre, con il patrocinio dei Comuni di Pontremoli e Mulazzo, presso “Il Pungiglione – Villaggio dell’Accoglienza” si è tenuto il convegno “Dall’esecuzione intramuraria alle misure alternative”, sul tema del carcere e delle possibili vie alternative alla detenzione carceraria.
L’evento ha posto al centro la figura fondamentale dell’Avvocato e l’importanza dell’attivazione di percorsi educativi individualizzati, portando come esempio l’esperienza concreta che la Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) vive all’interno delle Comunità Educanti con in Carcerati-CEC.
Come ha messo in luce l’Avv. Sommovigo – Presidente della Camera Penale della Spezia – gli avvocati penalisti sono spesso il primo ed unico contatto umano che il condannato ha dichiaratamente, e deontologicamente, dalla propria parte; ed è quindi compito dell’avvocato capire bene quali siano le buone prassi da mettere in atto e quali gli errori da evitare per dare alla persona uno sbocco positivo contro l’attuale disastro delle carceri che ad oggi conta, per il 2024, 85 suicidi fra i detenuti e 7 fra i poliziotti penitenziari. Un dramma che la politica volutamente ignora.
Le camere penali tentano di salvaguardare questo spazio di umanità costruendo una rete di efficienze sul territorio, come la proposta CEC, che se ancora sono poco significative dal punto di vista statistico, lo sono certamente dal punto di vista umano.
Particolare che ha sottolineato anche il Vescovo Vaccari: “questo è un tema cruciale in quanto le carceri sono diventate sinonimo di sofferenza. Ed è importante poterne oggi parlare al Pungiglione, vera perla di questa diocesi e della Lunigiana, luogo dove si cerca di trasformare questa sofferenza in speranza”.
Ed è proprio questo che si porta avanti al Villaggio dell’Accoglienza attraverso la “contrapposizione della Società del Gratuito alla società del profitto, intuizione del nostro fondatore don Oreste Benzi, la cui valenza è testimoniata dalla grande partecipazione a questo convegno”, ha ribadito Gavioli – Responsabile della Zona Toscana per l’Apg23.
La figura dell’avvocato non si deve fermare alla fase processuale, che è quella gestita e affrontata meglio, ma deve “accompagnare la persona anche nella fase dell’esecuzione, fase che richiede una conoscenza diretta della persona e del territorio: solo in questo modo l’avvocato può essere un giusto tramite tra il soggetto e il Magistrato di Sorveglianza”, ha detto l’Avv. Volpi – Presidente della Camera Penale di Massa Carrara – introducendo la dott.ssa Mencattini, Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Genova per l’ufficio di Massa, che ha lanciato un vero grido di aiuto: “il lavoro va avanti grazie all’esperienza e alla sinergia tra le varie figure – magistrato di sorveglianza, avvocati, operatori del carcere, serd, Dipartimento di Salute Mentale, associazioni ed enti territoriali, ma le risorse ormai sono poche. Non abbiamo più personale.”
Le misure alternative non devono essere soluzione al sovraffollamento delle carceri o alla mancanza di personale istituzionale ma devono esistere in quanto programmi credibili che non si riducono ad assistenzialismo sociale.
“Le misure alternative devono mantenere un carattere sanzionatorio così che la persona preservi la sua responsabilità sociale. Ma è insieme alla persona che si deve costruire il progetto educativo individualizzato, creativo e flessibile così che, consapevole del suo reato e delle conseguenze ad esso connesse, il soggetto è posto nelle condizioni di non voler più delinquere”, ha specificato la dott.ssa Necchi dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Massa, dichiarando che bisogna fermare questa “ossessione punitiva della collettività: la punizione guarda al reato già commesso ma non è detto che eviti futuri reati. La recidiva per chi esce dal carcere è dell’80% e si abbassa al 20% per chi vive l’esecuzione pena con le misure alternative. Il carcere ha fallito come esperienza rieducativa, soprattutto per chi vive all’interno di circuiti di emarginazione. Dobbiamo capire che il carcere non è l’unica risposta a un reato”.

Anche Barberis, esponente dell’Apg23, ha parlato di “mentalità carcerocentrica come problema culturale: se l’italiano medio toccasse con mano cosa è realmente il carcere lo vedrebbe come estrema ratio e non come prima scelta. Si parla di veri e propri luoghi di tortura”; e ancora Pellegrini, responsabile del CEC Rinascere: “è possibile creare un luogo aperto che dia comunque sicurezza. Infatti le CEC propongono percorsi educativi personalizzati da svolgere in un circuito comunitario protetto, cercando di rispondere all’urgente bisogno di curare le ferite e creare un nuovo patto di convivenza sociale. L’auspicio è che vengano riconosciute sia istituzionalmente che amministrativamente non essendo ad oggi finanziate dallo Stato”.
Nella sala si è poi vissuto un minuto di silenzio a seguito della sopraggiunta notizia data dall’Avv. Volpi della morte di un ragazzo di soli 21 anni nel carcere della Spezia. L’86° morto suicida all’interno delle carceri italiane nel 2024. Un altro ragazzo che non ha retto alla solitudine in cui portare il peso interiore della colpa e quello fisico della violenza.
“Il male cresce nelle ferite del cuore dell’uomo” ha detto Pieri – responsabile del progetto CEC in Italia – continuando dicendo che “se un male fisico può essere curato, può esserlo anche un male interiore. L’ospedale, in questo caso, sono le comunità educative”, concreta opportunità di una alternativa al carcere.
(Daniela Russo Krauss)