Inflazione: non c’è solo il caro energia
Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea

Prezzo dell’energia? Sì, ma non solo. Nell’inflazione che non scende molti economisti, e la stessa Banca Centrale Europea (Bce), intravedono la resistenza di aziende e di interi settori economici decisi a mantenere gli alti prezzi di vendita dei mesi scorsi, giustificati dal caro-energia per la guerra e qualche distorsione speculativa ad essa collegata.
Ma il petrolio WTI (estratto e lavorato in Usa), quello più facile da raffinare, ora è in ribasso a 75 dollari al barile. Il gas TTF, trattato ad Amsterdam (mercato di riferimento per lo scambio del gas in Europa), è sceso a circa un terzo dei prezzi record del settembre scorso ma resta alto al consumo perché stanno finendo gli interventi per calmierarlo.
I prezzi delle materie prime non si sono stabilizzati. Gli analisti si stanno concentrando su un fenomeno abbastanza nuovo: le imprese sono state molto rapide nell’adeguare i prezzi al rialzo e lentissime nel diminuirli.
Sempre più spesso si usa la definizione di “inflazione da profitti”. Che è altra cosa rispetto ai costi da materie prime o dai recuperi salariali richiesti dai lavoratori. Il rappresentante italiano nella Bce, Fabio Panetta, ha parlato di “costi delle materie prime che stanno calando ma i prezzi ai consumatori stanno aumentando così come i profitti”.
Tra spinte inflattive vecchie e nuove (quelle da profitti pesano ora per il 60% circa, prima erano circa il 20%) l’incremento del costo della vita ad aprile è tornato a crescere all’8,3% e nell’intera Eurozona è ben saldo al 7%.
Un’erosione del valore degli stipendi e delle pensioni, così come del risparmio accumulato negli anni. In queste condizioni la Bce non può che aumentare di nuovo i tassi di interesse e lo ha fatto con altri 25 punti base senza poter dare segnali di inversione di tendenza.
Tassi più alti, ormai lo sanno bene le famiglie italiane, portano costi più alti per chi è indebitato (i mutui a tasso variabile innanzitutto) e il rinvio di ogni decisione. Un più alto costo del denaro frena l’investimento delle imprese e la nuova occupazione a tempo indeterminato che era aumentata nel 2022 di 357mila unità (con un record storico di 15,3 milioni di lavoratori) ed era in progresso nei primi mesi 2023.
L’ulteriore frenata dell’economia spingerebbe le imprese a preferire nuovi collaboratori remunerati con contratti a termine.
Cosa potrà accadere nei prossimi mesi? La crescita dello 0,5% nel primo trimestre sarà tutta da verificare e c’è sempre un rischio di recessione tecnica (due trimestri consecutivi con Pil in negativo) mentre l’inflazione scenderà lentamente.
Rimarrà lontano quel 2% annuo che è l’obiettivo delle banche centrali. Christine Lagarde, presidente della Bce, lo ha indicato anche nelle ultime ore, chiarendo che l’aumento dei tassi di interesse non è ancora concluso.

P.Z. – Agensir