
Khartoum vive nel terrore, popolazione senza cibo e rischio bombardamenti

“Sembra che i paramilitari abbiano perso il controllo di diversi avamposti fuori dalla capitale, mentre l’esercito fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan è tornato in possesso delle sue basi aeree”. Così si esprime, nelle dichiarazioni rilasciate a Ilaria De Bonis della rivista Popoli e Missione sul conflitto in atto da sabato scorso in Sudan, padre Diego Dalle Carbonare, comboniano in missione da anni nel Paese del Corno d’Africa, al momento in Egitto ma in contatto con i confratelli rimasti a Khartoum. Il missionario assicura che, almeno per ora, questi sono in salvo ma la situazione è in rapida evoluzione.

Attesa e preannunciata da almeno un anno e mezzo, la guerra civile per il controllo del terzo Paese più grande d’Africa si combatte tra l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan (a capo del Consiglio Sovranazionale che guida il governo di transizione) e i paramilitari delle Rsf (Rapid Support Forces), guidate da Mohamed Hamdan Degalo. In ostaggio è un intero popolo, diviso tra chi sostiene i paramilitari, pensando che possano poi cedere il potere ai civili, e quanti ritengono invece che essi vogliano soltanto fare i propri interessi e prendersi tutto il potere.
Nei prossimi giorni ci si attende una prosecuzione degli scontri nella capitale, con bombardamenti aerei. In molte zone manca l’elettricità e ci sono già problemi di acqua e cibo, il che acuisce la sofferenza della popolazione, già messa in difficoltà da temperature ben al di sopra dei 40 gradi. Se è vero che l’esercito e i paramilitari hanno cominciato a farsi la guerra da pochi giorni, è però da gennaio del 2022 che nel Paese si registra una forte tensione.
Proprio in quel periodo tra gennaio e febbraio del 2022, il missionario raccontava alla stessa rivista di “almeno due o tre manifestazioni a settimana”, di blocchi di strade e ponti per impedire alla gente di raggiungere i palazzi del potere. Si trattava della sfiancante resistenza della società civile sudanese contro il golpe militare che il 25 ottobre 2021 aveva deposto il premier legittimo, Abdalla Hamdok, prelevato dalla sua abitazione e portato nella residenza del generale Buran. Poi avevano arrestato altri ministri e tentato di formare un nuovo esecutivo. Buran aveva dichiarato lo stato di emergenza, sciolto il governo di transizione e tentato di “negoziare” col ministro tenuto in cattività, ottenendo solo di gettare il Paese nel caos più totale.
In Sudan, ricorda padre Diego, circolano armi fornite anche dai Paesi europei; inoltre, la situazione di instabilità del Sudan rischia di coinvolgere gli Stati dell’intera regione. Inascoltati, finora, gli appelli provenienti dalla Comunità internazionale ad abbandonare le armi e a intavolare negoziati per la tregua e la ricostruzione della democrazia.