
Quattro serate di conterenze nello spazio dell’antico chiostro di San Caprasio

Scavi attorno all’abbazia di San Pietro a Pozzoveri presso Altopascio riportano alla luce gli scheletri dei morti di colera del 1855, utili al paleopatologo per conoscere il batterio e per curarlo. La lezione ad Aulla del prof. Antonio Fornaciari, in una delle quattro serate del programma annuale delle Notti dell’Archeologia, ha richiamato gli scavi da oltre dieci sezioni fatti col padre, a cui da questo 2022 è succeduto come docente all’Università di Pisa.

La cattedra pisana di paleopatologia è diventata importante con Gino Fornaciari, nato a Viareggio nel 1945; ha collaborato anche col collega Francesco Mallegni che ha studiato il cavaliere ritrovato in un torrione del castello dell’Aquila sopra Gragnola. Il paleopatologo studia crani e scheletri per ricavare notizie su alimentazione, malattie, causa di morte: tanti reperti umani utili a ricostruire stili di vita, stato di salute e molteplici abitudini quotidiane.
L’area archeologica intorno all’antica abbazia romanica di Pozzoveri dal 2011 è scavata da studenti italiani e da dottorandi americani dell’Università dell’Ohio. Attorno all’abbazia sulla via Francigena, scavando nel vecchio cimitero, sono stati rinvenuti 20 corpi sepolti in profondità in fosse coperte con calce, morti di colera a metà del sec. XIX. Scheletri si ritrovano nei vecchi cimiteri attigui alle chiese parrocchiali: anni fa anche a Vignola, alla Pieve di Saliceto, 40 a San Caprasio. Si studiano campioni di suolo, i denti, le ossa: l’obiettivo a Pozzoneri è cercare il DNA del batterio del colera che nel 1855-’56 fece morire in Europa circa un milione di persone, moltissime le vittime anche in Lunigiana, a Filattiera soprattutto.
Trovare la molecola del colera è utile, permette di conoscere l’evoluzione del batterio, confrontarlo con l’attuale e arrivare a una cura.
La pandemia da covid ci ha insegnato che le evoluzioni dei virus sono continue e richiedono studi complessi per arrivare a vaccini di contrasto. La campagna di scavi presso l’abbazia medioevale di monaci camaldolesi a Pozzoveri con annesso ospedale, caduta in degrado agli inizi del Quatrocento, ha richiamato l’attenzione di studiosi, le conoscenze acquisite nel 2013 sono state pubblicate su “Science”, la più qualificata rivista scientifica del mondo: ebbero la copertina e un lungo editoriale.
Antonio Fornaciari, che ha fatto scavi nel mondo e anche nell’area aullese di San Caprasio, in questa estate 2022 ancora conduce gli scavi a Pozzoveri per sei settimane, ci sono altri rilievi da fare e per riportare alla luce il chiostro, le mura di fondamento di un’antica chiesa che sorgeva accanto all’abbazia e si pensa che nell’antico cimitero attiguo ci siano gli scheletri dei fiorentini morti nella battaglia di Altopascio del 1325 sconfitti da Castruccio Castracani. Nei prossimi scavi saranno studiati in particolare, come per gli scheletri aullesi, soprattutto i denti, la novità scientifica è che dall’analisi dei denti si ricavano cognizioni sull’alimentazione avuta da bambini dopo lo svezzamento, come è stato fatto e anche se erano autoctoni o forestieri. (Maria Luisa Simoncelli)
Se lo scavo è nella memoria: le “donne dei segni”
Ancora un grande successo di pubblico e un alto livello culturale per le Notti dell’Archeologia che si sono succedute in quattro appuntamenti serali tra giovedì 14 e domenica 17 luglio nell’affascinante spazio recuperato nella abbazia di San Caprasio di Aulla là dove, nei secoli passati, era il chiostro. La “responsabilità” di inaugurare l’edizione 2022 è toccata al dott. Riccardo Boggi, direttore del Museo di San Caprasio, che ha esposto ai tanti presenti un tema a lui caro: “Le donne dei segni, scavare nelle tradizioni”. Dunque un’archeologia della memoria quella che Boggi ha trattato in una conferenza densa di contenuti, segno di una conoscenza approfondita di un tema che lo studioso lunigianese ha accumulato nel tempo, fin da quando era studente universitario.
Pratiche avvolte nel mistero di quel connubio popolare che unisce fede e superstizione, ma sempre custodite e messe in pratica con la consapevolezza di un sapere che non produce reddito ma eroga beneficio. “Le donne dei segni – ha spiegato infatti Boggi – sono donne che hanno ricevuto una consegna speciale: custodire i segreti di formule di guarigione a loro affidate, dare aiuto gratuitamente a quanti chiedono il loro intervento per varie malattie”. Per il “fuoco di Sant’Antonio” la pratica di “farsi segnare” è ancora presente nel territorio, mentre più raro è ormai il ricorso a queste pratiche per curare una storta o scacciare il malocchio. “
In ogni paese – ha continuato – o poco lontano c’era sempre la possibilità di trovare ascolto da parte di donne che avevano imparato a conoscere le erbe, le loro qualità alimentari e medicamentose, a distinguere quelle nocive da quelle non pericolose”.
Donne che nei secoli hanno conservato antiche conoscenze e rituali e sono state considerate con rispetto e allo stesso tempo temute. Eppure si è diffidato di loro, a cominciare dalla Chiesa e dalla medicina del medioevo. Una diffidenza che, forse, ha origine “nel mistero del nostro destino di esseri con un tempo limitato a disposizione” e così veniva attribuita ad una donna l’origine della nostra sventura! (p. biss.)