Governo, partiti e parti sociali alle prese con il varo della Legge di Bilancio. Dopo lo snodo dell’elezione del Presidente della Repubblica, tutto può accadere, elezioni anticipate comprese. E i partiti tentano, ciascuno secondo i propri piani, di caratterizzare almeno un pezzo dei 23 miliardi di euro della Legge di Bilancio
Come nasce e come viene approvata una Legge di Bilancio ai tempi di un governo di unità nazionale guidato da un tecnico prestato alla politica? In queste settimane ne avremo un assaggio. Qualcuno potrebbe obiettare che non sarà la prima volta che accade, visto il precedente, giusto 10 anni fa, di Mario Monti. Ma se allora la situazione emergenziale della finanza pubblica agevolava le scelte di un Presidente del Consiglio che aveva ottenuto la fiducia del Parlamento da poche settimane, questa volta la situazione è rovesciata: il governo Draghi è già in carica da oltre 8 mesi.
Se nell’autunno del 2011 non era in alcun modo in discussione l’orizzonte temporale del governo, questa volta, dopo lo snodo dell’elezione del Presidente della Repubblica, tutto può accadere, elezioni anticipate comprese. Logico quindi che i partiti della maggioranza tentino di portare a casa un po’ di visibilità, obiettivo reso possibile anche dal diverso scenario macroeconomico.
Se dieci anni fa era ben presente in tutti la necessità di approvare velocemente una Legge di Bilancio dai vincoli estremamente stringenti, oggi il dogma dell’austerità è stato sospeso, le ferite dell’emergenza sanitaria devono ancora rimarginarsi e le previsioni di crescita economica permettono ai conti pubblici un deficit pari al 9,5% del PIL, un saldo che trova riscontri storici solo nelle leggi finanziarie pre-Maastricht, oltre 30 anni fa.
In questo quadro non c’è quindi da stupirsi se i partiti tentano, ciascuno secondo i propri piani, di caratterizzare almeno un pezzo dei 23 miliardi di euro della Legge di Bilancio che il ministro Franco e il presidente del Consiglio Draghi stanno elaborando. I tentativi di appuntarsi provvedimenti e risorse sono evidenti, e i motivi li abbiamo spiegati poc’anzi. Ma non per questo questi sono meno legittimi, all’interno della dialettica parlamentare.
L’unico a non comprenderlo sembra essere il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il cui attivismo all’interno del dibattito politico non ha pari nei suoi predecessori. Il capo degli industriali, che nei primi 17 mesi del suo mandato ha ottenuto tutto ciò che con aggressività ha preteso, a costo di fare cadere un governo in piena emergenza sanitaria per potere meglio orientare l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund, ha accusato i partiti – cioè le entità costituzionalmente titolate a farlo – di influenzare le scelte di bilancio e di politica economica del governo. “Dobbiamo sostenere il Governo Draghi e quando i partiti vogliono portarlo sulla strada sbagliata dobbiamo batterci” ha dichiarato Bonomi, non esitando, una volta di più, a schierare Confindustria come una forza politica a sostegno di Draghi, novello “uomo della necessità, come De Gasperi”.
Chiusa la parentesi sul partito degli industriali, gli altri partiti hanno messo in evidenza nel dibattito di queste ore le loro “bandierine”.
Per la Lega, la difesa di Quota 100 ha un forte valore simbolico, perché la misura ha connotato l’azione di governo della Lega durante l’esecutivo Conte I. L’agevolazione previdenziale voluta da Salvini si è mostrata costosa ed ha collocato in pensione pochi lavoratori, in maggioranza maschi e del Nord, ma un suo prolungamento gli consentirebbe di rivendicare una vittoria nei confronti di Draghi, che, invece, punta ad archiviare la misura.
Il M5S, invece, punta a confermare il Reddito di cittadinanza, suo unico vessillo da mostrare agli elettori dopo 3 anni e mezzo di governo alleati di chiunque. La misura sarà confermata, anche se con criteri di accesso più stringenti e il (problematico) rafforzamento dei controlli sulla disponibilità al lavoro. In cambio i grillini accettano di fare un passo indietro sul superbonus al 110% (non prorogato se non per i condomìni), un provvedimento che avrebbe una sua coerenza con gli obiettivi di transizione ecologica, ma in cui il governo non sembra credere.
Ma anche i partiti minori hanno istanze da appoggiare sui tavoli di Palazzo Chigi. Articolo Uno, che esprime il ministro della Salute, promette l’aumento della dotazione del Fondo sanitario nazionale dopo i draconiani tagli che si arrestarono solo nella Legge di Bilancio pre-pandemia. Agli attuali 122 miliardi del fondo sanitario se ne aggiungeranno altri 2 miliardi nel 2022 e ulteriori 10 nel biennio 2023-2024.
Sul capitolo fiscale, invece, si concentra il tandem Berlusconi-Renzi. Draghi ha assicurato che al taglio delle imposte la manovra destina 7 miliardi di euro. Italia Viva vorrebbe che fosse innalzato a 10, abolendo il Reddito di Cittadinanza. Forza Italia, non accontentandosi del rinvio, l’ennesimo, della tassa ecologica sulla plastica e di quella sulle bevande zuccherate, ne chiede la cancellazione definitiva, poiché rappresenta “una pistola puntata alla testa delle aziende”.
Proprio il capitolo della tassazione appare il nervo scoperto del governo. Draghi ha avocato a sé e ai suoi tecnici il tema di una non più rinviabile riforma di una tassazione fondata all’80% su lavoratori dipendenti e pensionati. Quello che si intravede, però, è solo un taglio del cuneo fiscale (da chiarire se sul lato della contribuzione delle imprese o della tassazione dei lavoratori): un provvedimento positivo ma comunque ben distante da una riforma fiscale che incida meno sul lavoro e più sulle rendite.
(Davide Tondani)