Da Perugia ad Assisi: quel corteo popolare che trasformò la pace da utopia a fatto politico

Sessant’ anni fa, in piena Guerra fredda, la prima Marcia della Pace

Perugia, 24 settembre 1961: la partenza della prima Marcia della Pace

Nella mattinata del 24 settembre 1961, 60 anni fa, un corteo denominato “marcia della pace” da Perugia mosse i primi passi verso Assisi, la città di San Francesco.  La prima fila era composta da intellettuali: gli scrittori Giovanni Arpino e Italo Calvino; l’europeista Ernesto Rossi; il pittore Renato Guttuso; lo storico Arturo Carlo Jemolo; il promotore dell’iniziativa, il filosofo perugino Aldo Capitini; ma dietro di loro, contro ogni previsione, si formò un corteo popolare di ventimila persone. “Tra loro – scrisse Gianni Rodari nella sua corrispondenza – c’è gente di ogni condizione sociale, il deputato cammina fianco a fianco al mezzadro, lo scrittore famoso al professionista, al contadino, allo studente, alle famiglie al completo”.

In Aldo Capitini l’idea di convocare una marcia per la pace maturò nel corso degli anni ’50, quando nella coscienza collettiva erano ancora vivi i 56 milioni di morti della Seconda guerra mondiale chiusasi con le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, ed era in corso la guerra fredda e la corsa al riarmo. 
 

Il “religioso laico” che inventò la Marcia

 
Aldo Capitini (1899-1968)

Teorico della nonviolenza, Capitini nacque a Perugia nel 1899. Dopo gli studi di ragioneria, si dedicò da autodidatta alla letteratura e alla filosofia, cosa che gli valse nel 1924 una borsa di studio per frequentare la Normale di Pisa; successivamente assunto come segretario nella medesima istituzione, verrà licenziato nel 1930 dal direttore Giovanni Gentile a causa del rifiuto ad iscriversi al partito fascista.
Negli anni del regime intesse una fitta trama di relazioni nel mondo antifascista italiano; venne incarcerato a causa della frequentazione dei circoli clandestini del socialismo liberale, a cui aderisce nonostante sia cattolico. Alla caduta del fascismo rifiuta l’iscrizione al Partito d’Azione: alla carriera politica a Capitini preferisce esperimenti di democrazia diretta con i Centri di Orientamento Sociale e progetti di riforma della Chiesa preconciliare con i Centri di Orientamento Religioso.
Si definì un “religioso laico”, sintesi di un modo di pensare la fede in modo radicalmente originale. Una originalità che si manifestava nella deliberata scelta di non sposarsi per dedicarsi anima e corpo alla causa pacifista o nella scelta vegetariana.
Per le sue posizioni in campo religioso le inevitabili frizioni con la Chiesa di Roma – che continueranno pure dopo il Concilio – costeranno a Capitini l’abbandono del rettorato dell’Università per stranieri di Perugia, incarico ricoperto nel biennio 1944-46 e una serie di dissidi che lo porteranno, parallelamente alla frequentazione assidua con preti di frontiera come Primo Mazzolari o Lorenzo Milani, alla richiesta al suo vescovo di essere considerato fuori dalla Chiesa.
Dopo avere insegnato pedagogia a Cagliari, Capitini tornerà a insegnare a Perugia nel 1965. Negli ultimi anni della sua vita fonderà il Movimento nonviolento per la pace e la rivista Azione nonviolenta e continuerà ad aggiornare il suo complesso pensiero sulla fede e sulla vita sociale. Nel 1968 morì a seguito dei postumi di un intervento chirurgico. (d.t.)

 
Nel 1958 il filosofo Bertrand Russell organizzò una marcia contro le armi nucleari da Trafalgar Square a Aldermaston, in Inghilterra: il successo di quella manifestazione spinse Capitini a proporre l’idea di marciare, anche in Italia. Ma non era facile indicare percorsi di pace che andassero oltre le polarizzazioni est-ovest, in un Paese strategicamente schierato sul fronte atlantico e con il partito comunista più grande dell’occidente. 
Non lo era per il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, operatore di pace all’interno di una non sempre facile fedeltà alla Chiesa e, in modo più dialettico, al suo partito; non lo era per Capitini, che si muoveva al di fuori di appartenenze religiose e politiche. 
Anche per questo, quella prima edizione della Marcia, fino a poche ore dall’inizio sembrava destinata a naufragare: il Prefetto di Perugia si era appellato ad una vecchia legge fascista per vietare di sfilare ai gonfaloni dei Comuni; il mondo cattolico tergiversava tra il richiamo simbolico della città di Francesco e il marciare al fianco dei comunisti – la Dc perugina annunciò la sua non adesione asserendo che “il concetto cristiano di pace è diverso da quello comunista” – e persino il locale aereo club revocò l’autorizzazione ad un proprio iscritto per lanciare dal cielo i volantini dell’iniziativa.
Il successo dell’evento fu inaspettato, con i contadini delle campagne che si univano al corteo, le comitive da tutta Italia, gli ospiti internazionali. Ad uno sguardo superficiale la Perugia-Assisi poteva apparire a metà tra la scampagnata e la processione laica, ma nelle parole del suo ideatore fu “più di un congresso, perché tocca le case, si mostra al popolo, entra nel paesaggio stesso, è atto più che parola”. 
Capitini intravedeva nella Marcia i fermenti sociali e culturali del decennio successivo: “Con l’unione stabilita tra i pacifisti e le moltitudini popolari – scriveva il filosofo perugino – si è avviata un’unità che è la massima che si può stabilire in Italia: quella nel nome della pace. Si è avviato un moto degli strati più profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano, un moto che non è senz’altro politico o di classe, ma è la premessa e l’addentellato per ogni lotta ed ogni educazione che voglia svolgersi in Italia per contrastare il patriottismo scolastico diffuso dai nuclei nazionalmilitari, e, insieme, il borghesismo edonistico che si ritrae da ogni lotta civile e sociale per la fruizione del benessere promesso dal neocapitalismo”.
Qualcuno disse che fu un evento irripetibile. In parte lo fu, se si pensa che per la seconda edizione bisognerà aspettare il 1978. Da allora con cadenza di due-tre anni, la Perugia – Assisi è stato il luogo di un dialogo senza pregiudizi tra religioni e culture politiche diverse, coniugando il tema della pace alle contingenze storiche: dalle lotte contro gli euromissili degli anni ‘80, all’opposizione alle guerre nei Balcani e in Medioriente negli anni ‘90, passando per la contestazione della globalizzazione e la stagione delle stragi di mafia. Il prossimo 10 ottobre, la prima marcia dell’era pandemica avrà per tema “La cura è il nuovo nome della pace”.  
 
(Davide Tondani)

 

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