
Un ricordo diretto del gesuita recentemente scomparso

Ebbi la fortuna di incontrarle p. Sorge due volte. La seconda fu a Pistoia, in occasione di un incontro moderato da mia figlia Chiara. Partecipavano Vannino Chiti e altri. Ricordo soprattutto un grande amico, scomparso pochi anni fa, ex vicario generale della diocesi di Pistoia: mons. Giordano Frosini, un toscanaccio che definiva il card. Ruini “Camillus de ruinis ecclesiae”, autore di tanti libri dedicati all’impegno politico dei cattolici e di un prezioso saggio antologico dei padri della Chiesa, dove si poteva leggere la frase terribile di Giovanni Crisostomo: “Quello che ti avanza è quello che manca a lui. È un furto”.
Alla fine dell’incontro chiesi a padre Sorge se potevo parlargli un minuto, dicendo che ero il babbo di Chiara e dovetti rendermi conto della mia piccineria. Quella qualificazione era del tutto superflua, Sorge era gentilissimo, affabile, non c’era proprio bisogno di presentazioni.
Capii però che aveva fretta perché parlammo stando in piedi. Mi fu possibile fargli due domande.
La prima: cosa devono o possono fare in politica, oggi, i cattolici? La risposta fu immediata e inequivocabile: “Come un insieme niente, come singoli tutto”.
Lei consiglierebbe un partito, un movimento? “No, ognuno si impegni come crede, legga l’insegnamento sociale della Chiesa e poi si comporti secondo coscienza”. Da notare che fu Paolo VI a preferire ‘insegnamento’ a ‘dottrina’, dando quest’ultima espressione l’idea di qualcosa di statico, che non muta con i tempi e non ne coglie i nuovi segni.
Bartolomeo Sorge parlava come il professor Pietro Scoppola, sui cui testi mi ero venuto formando fin dai miei primi anni universitari, quando fui eletto presidente degli studenti dell’ateneo pisano alla guida di una lista di cattolici democratici formata da giovani della FUCI e della DC. Sto parlando di un volumetto aureo che sarebbe molto utile ancora oggi: “Dal neoguelfismo alla democrazia cristiana”.
Sorge fu uno dei maestri di laicità dei cattolici, del loro rapporto con lo Stato, dell’essere cittadini. Fu nel mirino di tutti gli integralisti del pianeta, in modo più o meno esplicito, compreso qualche Papa; perfettamente in linea con il magistero di Paolo VI e, oggi, con quello di Papa Francesco.
Ricordandolo, mi viene da pensare, purtroppo, a quanta strada i cattolici italiani debbano fare. Non soltanto in qualche singolo sprovveduto ma persino a livello di Conferenza episcopale italiana, se è vero che il presidente, card. Bassetti, recentemente licenziò un documento piuttosto equivoco sul tema, in cui i cattolici venivano invitati a impegnarsi insieme sul piano politico. C’era già anche un nome: ‘Futura’.
Un prete giovanissimo della mia città, cui era stato chiesto di sottoscrivere un manifesto, ebbe occasione di parlarne con me e concordò che non era il caso. Per fortuna di quel progetto nessuno parla più. Di fatto era un tentativo assurdo di far rivivere la DC, che fu grande, fu un bene prezioso per il Paese, ma quando la storia lo chiedeva, e fu merito esclusivo di laici come Sturzo e De Gasperi, se vogliamo dirla tutta, avendo contro Papa Pio XII, che, secondo Scoppola, preferiva un impegno politico ispirato al modello portoghese salazariano.
Insomma: il ‘vecchio gesuita’ era un giovanotto con idee fresche, moderne, attualissime, che possono aiutare non solo la politica ma, molto di più, liberare la Chiesa da ogni residuo temporalistico, da ogni residuo ruiniano, una palla pesante al piede del rinnovamento per il quale il Signore ci ha mandato Papa Francesco.
Fabrizio Geloni