Il 26 aprile 1945 nell’allora piazza Vittorio Emanuele. Il fatto nei ricordi di un testimone

Carlo Bellotti, di famiglia pontremolese, per molti anni funzionario in importanti istituzioni statali alla Spezia, narra il grave evento della fucilazione di tre prigionieri di cui fu testimone.
“Ero sfollato con la mia famiglia dalla Spezia a Pontremoli e vivevamo in un appartamento a fianco del palazzo del Tribunale. La vicenda è del 26 aprile1945 ricordata in una lapide posta a fianco dell’ingresso del Tribunale. Nella notte erano stati fucilati i giovani patrioti Annibale Della Pina di Massa e Luigi Regali di Piazza al Serchio (con loro era un terzo patriota, rimasto ignoto, ndr); erano stati prelevati dal carcere e non risulta che avessero avuto formali atti processuali.
Nel primo mattino alcuni abitanti delle case di piazza trovarono le salme,viene informato il vescovo Sismondo, che era impegnato in un’urgente e delicata missione nelle ultime ore che precedettero la liberazione, e le benedice. Bisognava trovare una soluzione per rimuovere le salme e dar loro sepoltura. Il compito fu assolto da don Pio Pizzanelli, parroco di S. Colombano e da Eugenio Zanella e Aldo Bellotti.
Trovano le casse adattate alla necessità e si fanno dare dal panificio e forno Bonini situato presso il palazzo del Tribunale un carretto per il trasporto al Cimitero. Si muove così il mesto corteo con i due adulti che spingono il carretto preceduto dal sacerdote e da due giovanissimi ragazzi (Piergiorgio e Carlo [lo scrivente] figli di Aldo Bellotti) chierichetti. Il percorso è lungo e, a tratti, occorreva fermarsi per sottrarsi al pericolo di mitragliamenti.
E’ un evento triste e particolare di pietà cristiana e di solidarietà civile, credo non molto conosciuto nei particolari e che, al di là dei riferimenti personali,è oggetto della mia riflessione. Non erano più presenti ed operativi rappresentanti di autorità o responsabilità civili del regime morente e un ruolo di supplenza era svolto dalle autorità ecclesiali, in Lunigiana in modo speciale dal vescovo Giovanni Sismondo a cui erano riconosciute affidabilità e autorevolezza non solo nel ruolo istituzionale di difesa delle popolazioni, ma anche di mediazione tra le parti ostili per evitare stragi, risparmiare la vita di reciproci ostaggi innocenti, salvaguardare abitazioni e strutture civili. In quel periodo specifico di grandi sofferenze, timori, difficoltà e coprifuoco (secondo alcuni in parte paragonabile all’attuale grave crisi della pandemia diffusa in tutto il mondo), il ruolo del Vescovo era in una fase di eccezionale drammaticità nelle giornate del 25, 26 e nella notte sul 27 aprile, con ultima possibilità di dialogo – di fronte a reciproci ultimatum e di immediatezza di interventi bellici disastrosi – fra i comandi delle Brigate partigiane Berretta, del presidio tedesco prima di procedere alla ritirata lungo la strada della Cisa e dei reparti americani giunti nelle vicinanze di Pontremoli e che continuavano ad operare con azioni belliche”.