Api e miele: un binomio sempre più importante anche in Lunigiana

Il 20 maggio si è celebrata la Giornata mondiale delle api. L’apicoltura nel nostro territorio sta crescendo anche come fonte di reddito. Ma non mancano le difficoltà.  

08apiIl 20 maggio si è celebrata la Giornata mondiale delle api. L’evento, nato nel 2018, intende sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questi insetti, fondamentali per l’equilibrio dell’ecosistema. Nata in Croazia nel 2014, l’idea di istituire questa giornata si è sviluppata a livello internazionale fino ad essere sostenuta all’unanimità dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York nel dicembre 2017. L’individuazione del 20 maggio come data della giornata di sensibilizzazione non è casuale: coincide con il giorno di nascita di Anton Janša, che nel XVIII secolo ha aperto la strada alle moderne tecniche di apicoltura nella sua nativa Slovenia, e poi in tutta Europa, dimostrando l’importanza delle api anche con gli apiari installati nel giardino della corte imperiale a Vienna. In Lunigiana il mondo delle api riveste una notevole importanza, non solo per il ruolo del piccolo insetto nel preservare, qui come altrove, la biodiversità. Da un paio di decenni l’apicoltura fino ad allora svolta in modo hobbistico e in larghissima parte come integrazione di altri redditi tramite la vendita diretta, si è trasformata in una filiera economica di tutto rispetto. Il miele della Lunigiana, in particolare, è stato il primo miele italiano ad ottenere dall’Unione Europea la Denominazione di Origine Protetta per il miele di acacia e di castagno. La varietà della vegetazione, la particolare diffusione di boschi di acacia e di castagno, unitamente alla scarsa industrializzazione, fanno dei 14 Comuni della Lunigiana un luogo privilegiato per la produzione di miele, un’attività certamente presente nella valle sin dal XV secolo. Infatti le prime notizie certe sull’apicoltura in Lunigiana si possono ricavare dai libri dell’Estimo generale dell’anno 1508 della Comunità di Pontremoli, che è la prima fonte di informazioni dopo la completa distruzione e l’incendio della città ad opera dell’esercito di Carlo VIII, con perdita di tutti i documenti precedenti. Da questo estimo emerge che l’apicoltura era un’attività produttiva importante, al punto che era prevista una tassa per ogni alveare posseduto. Gli alveari censiti in quell’anno erano 331; per avere un’idea dell’importanza della produzione di miele, basta confrontarla col numero di capi di bestiame censiti: 447 mucche, 15 asini, 32 cavalli, 41 maiali ecc..

Un momento della raccolta del miele da parte di un apicoltore
Un momento della raccolta del miele da parte di un apicoltore

Attualmente, sono 45 i produttori, riuniti nel Consorzio di tutela del miele della Lunigiana che hanno aderito alla certificazione DOP per un totale di oltre 4.300 alveari sparsi sul territorio, molti dei quali gestiti nel pieno rispetto del disciplinare Biologico e di quello D.O.P. per garantire la salute delle api e la qualità dei loro prodotti. Il miele della Lunigiana è un ottimo prodotto da tavola, che può essere apprezzato singolarmente o in abbinamento ad altri cibi. Trova largo uso nella preparazione di dolci e quello di acacia è un ottimo rimedio contro le affezioni dell’apparato respiratorio. Gli apicoltori lunigianesi sono molto conosciuti, sia in Italia che all’estero, e in questi anni hanno conquistato numerosi allori nelle manifestazioni e nelle piazze più importanti del settore. Ma non mancano anche in questo settore numerose difficoltà, a partire dalla farraginosità della burocrazia, che spesso taglia le gambe ai giovani vogliosi di inserirsi nell’attività. Senza dimenticare l’estrema variabilità della produzione, come è accaduto l’anno passato con un inverno mite e poi soprattutto un aprile-maggio freddo e piovoso che hanno, di fatto, dimezzato la produzione. E poi i problemi di commercializzazione, con il mercato che offre un prezzo molto basso rispetto al lavoro che necessita la cura delle arnie. Un’attività che andrebbe ripagata con un maggiore introito per l’apicoltore. Infatti non c’è da mettere in conto solo il lavoro manuale ma tutte le spese che arrivano dai farmaci per far fronte alle patologie dell’alveare, al nutrimento e tanto altro ancora.