Risultati discordanti e inattesi dalle elezioni in Polonia e Ungheria
In un’Europa preoccupata dal Brexit, scossa dalla dura condanna al separatismo catalano, ma soprattutto non sufficientemente attenta e presente nella guerra turco-curda e in quella russo-ucraina, giungono i risultati delle attese elezioni in Polonia (parlamentari) e in Ungheria (amministrative).
Due appuntamenti attesi per verificare la tenuta di leader e partiti ritenuti – a torto o a ragione – “nazionalisti” o “populisti”. Ebbene, gli esiti sono assolutamente differenti. In Polonia vince e addirittura si rafforza il PiS (Diritto e giustizia), partito al governo dal 2015, guidato da uno dei suoi fondatori, Jaroslaw Kaczynski.
Pur in attesa dei dati definitivi, con il 46% dei voti popolari il sovranista sfiora la maggioranza assoluta, che potrebbe arrivare in Parlamento grazie al premio elettorale. La Coalizione civica, che siede all’opposizione, di carattere moderato-europeista, arriva al 25%. Il segreto di questo successo sta in diversi fattori. Anzitutto la crescita economica che in Polonia è in atto da anni. Poi un’infinita serie di promesse elettorali a partire dall’aumento della spesa sociale e previdenziale, dalla chiusura delle frontiere ai migranti da Africa e Medio Oriente (tema tipico dei populisti), un europeismo interessato che mira ad ottenere fondi comunitari a sostegno dell’economia nazionale, infine, la critica ad alcune “debolezze” della società occidentale: una per tutte la tolleranza nei confronti degli omosessuali.
Tutt’altro esito hanno avuto le votazioni per la scelta del sindaco di Budapest e di altre grandi città ungheresi, che hanno decretato la prima, netta delusione elettorale per il premier Viktor Orban. Il candidato delle opposizioni Gergely Karacsony – ambientalista ed europeista – ha superato il 50% dei consensi, distanziando Istvan Tarlos, sindaco uscente, candidato di Fidesz (partito di Orban), che si è fermato al 44%. Il fronte comune, e piuttosto frastagliato, delle opposizioni ha vinto anche in altre sette città finora guidate da sindaci di Fidesz. A Budapest ci si interroga sulla battuta d’arresto dell’ inventore della “democrazia illiberale”, sempre in lotta aperta con la magistratura e la stampa libera, nonché autore del muro con la Serbia per fermare i migranti dai Balcani.
Diverse sono le vicinanze tra Polonia e Ungheria. Le polemiche con Bruxelles per via di alcune riforme interne contrarie ai Trattati Ue; una crescita economica favorita dai generosi finanziamenti europei; l’opposizione ai fenomeni migratori. Tuttavia non mancano le differenze e una di queste risiede nella diversa capacità dei due capi politici di interpretare i sentimenti dei rispettivi popoli. Fra l’altro la Polonia trova ancora oggi nella fede cattolica un solido collante spirituale e identitario, mentre la secolarizzazione forzata è un marchio tipico dell’Ungheria del nuovo millennio.