Prove di rilancio per il progetto Regione Lunezia

A Lerici il convegno “Uno sbocco al mare per la Padania” ha riportato in auge l’idea di riunire le province di Massa, La Spezia, Lucca, Piacenza, Parma, Reggio, Mantova e Cremona

Evidenziata in verde, il perimetro dell'ipotetica Regione Lunezia
Evidenziata in verde, il perimetro dell’ipotetica Regione Lunezia

Lunezia, la regione la cui istituzione fu promossa in Assemblea Costituente da Giuseppe Micheli e Carlo Sforza ma alla quale mancarono i voti necessari per venire effettivamente alla luce (una ricostruzione storica della vicenda è stata pubblicata sul nostro settimanale del 1° settembre 2018) torna a far parlare di sé. Studiosi e amministratori locali legati al progetto di riunire in un’unica regione le province di Massa, La Spezia, Lucca, Piacenza, Parma, Reggio, Mantova e Cremona si sono dati appuntamento lo scorso fine settimana a Lerici, per un incontro che ha dato seguito a quello svoltosi in autunno a Pontremoli. Capitanati dal professore valtarese Rodolfo Marchini, storica anima dei “luneziani”, a darsi convegno sul mare sono stati soprattutto diversi amministratori locali, in prevalenza di centrodestra. Erano presenti il sindaco di Lerici, Leonardo Paoletti, il vicesindaco di Caorso, Fabio Callori e il sindaco di Maissana, Egidio Banti. Messaggi di saluto dal sindaco di Pontremoli, Baracchini e dal vicesindaco di Massa, Mottini. Esplicita la fiducia che l’Associazione Lunezia ripone nella Lega, giustificata dal favore verso il riordino regionale espresso dal Carroccio negli anni della sua versione autonomista. Lasciando a storici e linguisti il compito di vagliare le identità culturali dei territori coinvolti, interessanti sono le motivazioni politiche al progetto di nuova regione: “Le regioni matrigne (due delle quali governate dalla Lega in cui molto sperano i luneziani, ndr) accentrano la gran parte delle risorse economiche sulle già congestionate città metropolitane di Bologna, Firenze, Genova e Milano e ai territori marginali vengono lasciate le briciole”. Ragion per cui – proseguono i promotori della nuova entità – “le aspettative dei territori compresi in Lunezia sono costantemente disattese: raddoppio della Pontremolese fermo, raccordo Autocisa-Autobrennero incompiuto, porti della Spezia e di Carrara lasciati soli, Università di Parma trascurata, Appennino tosco-ligure-emiliano privo di servizi essenziali”. E se si può concordare sull’abbandono bipartisan della montagna, non si capisce bene chi trascuri l’ateneo di Parma o di quale solitudine soffra l’attivissimo porto mercantile e croceristico spezzino, per non parlare del raccordo autostradale di cui sono aperti i cantieri del primo lotto. Tutti da decifrare “i vantaggi immensi che i contesti locale e nazionale riceverebbero da un riordino regionale capace di andare incontro alle esigenze sociali ed economiche di chi chiede più attenzione e alle grandi strategie del Paese e dell’Europa”, mentre non si capisce del tutto in cosa differisca Lunezia dalle attuali regioni quando si parla di una “regione europea, nuova e policentrica, in cui ogni sua città sia valorizzata per le sue specifiche eccellenze”. A chiarire in modo evidente i sogni dei luneziani il fatto che il loro operare “si riallaccia ad una antica aspirazione della Padania di avere l’accesso al mare”. Insomma, dietro Lunezia si cela il cripto-secessionismo della fantasiosa entità geografica inventata da Umberto Bossi. (Davide Tondani)

Idea inutile e fuori dal tempo

Se queste sono le argomentazioni addotte, parlare di opportunità di Lunezia è del tutto inutile. Il clima di questi anni farà il resto: in tempi di antipolitica, quale maggioranza sarà disposta a creare nuove regioni con relativi apparati politico-burocratici, a maggior ragione in una fase storica in cui il regionalismo, dopo la “sbornia” federalista degli anni ’90 coronata dalla riforma del 2001, mostra tutti i suoi limiti? Se davvero si volessero creare sinergie territoriali orientate a garantire opportunità e servizi efficienti, basterebbe molto meno, almeno per quanto riguarda le aree spezzina, apuana e lunigianese che, nel disinteresse unanime, scontano ancora le divisioni territoriali sancite dal Congresso di Vienna. Un’area omogenea caratterizzata da due grandi aree urbane (Spezia e l’area apuana) e due vallate “gemelle” (Val di Vara e Lunigiana) divise da bizzarri confini regionali. Eppure, senza alcun cambiamento istituzionale, basterebbero convenzioni e accordi di programma tra Enti per ridare unitarietà sostanziale al territorio: con un’unica azienda di trasporto pubblico locale, una politica sanitaria coordinata tra le due Asl, scelte coordinate in campo turistico, decisioni condivise sugli indirizzi economici e sulla protezione del territorio. L’accorpamento (voluto a Roma, non certo a livello locale) delle Autorità portuali della Spezia e di Marina di Carrara dovrebbe essere l’esempio da seguire. Gli ultimi decenni, tuttavia, insegnano che tutto ciò è impensabile. Da sempre: sia quando nelle due province era il centrosinistra a dominare, sia ora che Lega e centrodestra amministrano La Spezia, Sarzana e Massa, l’amministrazione provinciale spezzina e un crescente numero di comuni dell’entroterra. Se questo è il principio di realtà a livello locale, reclamare nuove aggregazioni per sfuggire a presunte regioni matrigne appare obiettivo del tutto velleitario. Per non dire ridicolo. (d.t.)