Il terribile autunno del 1918. Studi recenti stimano in un miliardo i contagiati nel mondo: il 20% morì
La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo: con questo apocalittico allarme Eugenia Tognotti titolava una sua ricerca edita da Franco Angeli nel 2002. L’epidemia di febbre “spagnola” è riconosciuta dagli storici come la più globale e la più letale della storia, gli studi più recenti arrivano a stimare oltre un miliardo di contagiati e fino a cento milioni di morti.
Va tenuto presente che la contabilità dei morti nelle guerre e nelle catastrofi naturali rimane approssimativa per l’emergenza del momento e per l’impossibilità pratica di contare tutti i dispersi.
Le altre grandi stragi del passato paragonabili (peste di Giustiniano nel VI sec., morte nera del 1347-1350) fecero meno vittime. Le altre successive pandemie importanti le abbiamo subite nel 1957 – 1958 con l’influenza “asiatica”, nel 2009 con la ”suina”.
Nel 1918 colpì soprattutto i giovani sani tra i 18 e i 30 anni, un’anomalia in quanto di norma i più esposti sono bambini e anziani. Il dato inusuale si può spiegare col fatto che quelli più anziani rispetto a loro potrebbero essere stati immunizzati superando la pandemia influenzale “russa” del 1889-’90, quelli sotto i 18 anni protetti dopo un’altra influenza simile da virus nei primi anni del Novecento.
Molti erano giovani adulti in guerra di posizione, ammassati in trincea col facilissimo contagio per via aerea, poca igiene, malnutrizione, queste ultime cause comuni per tutti. Alcuni scienziati parlano anche di “tempesta di chitochine” provocata da una reazione spropositata del sistema immunitario e che è più efficiente nei giovani.
Nell’ospedale di Pontremoli ben 25 decessi solo negli ultimi tre mesi del 1918. L’Annunziata l’area più colpita
La “spagnola” infuriò anche nel nostro territorio. Non è stato facile trovare dati; quelli che riportiamo li abbiamo ricavati dalla consultazione, forse inedita, di tutte le cartelle cliniche dei ricoverati per epidemia nell’ospedale di Pontremoli dal 22 settembre al 31 dicembre 1918, depositate nell’Archivio di Stato dell’Annunziata. I guariti furono 69, i morti 25. Si deve aggiungere il numero non esattamente precisabile dei morti in casa; in rete si trova, presi da una ricerca di Maurizio Bardi, che in una settimana, dal 23 al 30 ottobre, nel picco dell’epidemia, i morti sono stati: 17 a Pontremoli, 29 a Villafranca, 21 a Bagnone, 20 a Filattiera, 15 a Zeri, 18 a Fivizzano. Per Pontremoli la frazione più colpita fu la SS. Annunziata, molto anche Cargalla, Torrano, Bassone.
Dal registro dei morti del Comune di Pontremoli non risulta la causa, ma si possono desumere per comparazione alcune indicazioni. Nel 1917 registrati 385 morti compresi 22 in guerra, in ospedale 89: nel 1918 salgono a 536 (in ospedale 119) con aumento del 39%. Nel 1919 i morti in totale furono 322 (in ospedale 62): per “spagnola” morirono più di tutti i morti in guerra.
Le prime avvisaglie della ripresa della febbre si trovano nel verbale della giunta comunale: il sindaco Pietro Bologna e gli assessori deliberano all’unanimità di attuare la circolare prefettizia del 20 agosto 1918 che dispone l’immediata messa in piena efficienza di locali di isolamento. A Pontremoli l’unico adeguato ospitava l’asilo infantile e quindi si provvede con altro luogo trattato con sublimato, creolina, lisoformio e cloruro di calce. Nel suo libro sulla Misericordia Giuseppe Bola ricorda l’impegno fortissimo dei confratelli per il trasporto in ospedale e nell’improvvisato lazzaretto del Castello (dove Vincenzo Dani e Trivelloni Ernesto si rinchiusero per assistere fino alla fine dell’epidemia), moltissimi i servizi funebri; pubblica l’elenco di confratelli e consorelle che si distinsero per l’assistenza ai malati. La Misericordia collaborò con estremo zelo nel far osservare l’ordinanza che vietava i cortei funebri: al massimo 12 persone, prete compreso, se il feretro era portato a spalla, e solo 4 se col carro, le esequie solo al cimitero e all’aperto. (m.l.s.)
Il virus della “spagnola” è denominato A del ceppo H1N1, nel 1933 fu scoperto originario nel furetto e quindi fu possibile produrre il vaccino di protezione. Nel 1918 il virus spesso provocò infezione secondaria polmonare letale. Una prima epidemia scoppiò improvvisa in aprile con brividi e febbre guaribile, dopo un’estate tranquilla improvvisa una seconda ondata con impressionante aggressività si scatenò in tutto il mondo da settembre a novembre e poi allo stesso modo improvvisa scomparve in concomitanza con la fine della guerra, dopo aver ucciso intorno al 20% della popolazione mondiale.
Il virus era mutato in forma molto più letale, i sintomi erano febbre alta, vomito, sanguinamento da naso, bocca, orecchi, emorragie gastriche e intestinali, morte nel giro di due o tre giorni. In Italia, che aveva 36 milioni di abitanti, furono colpiti 4,5 milioni, morirono si stima da 375 a 650mila.
Non c’era rimedio, morivano anche medici, infermieri, necrofori tanto che si arrivò a sepolture in fosse comuni senza bara. Colpì di più al Sud con punte di mortalità del 70%. Le poche precauzioni, da attuare tempestivamente e per tutto il tempo del contagio, erano evitare gli assembramenti, lavarsi bene le mani e curare l’igiene personale, consumare molti limoni e buona alimentazione per i pochi che potevano permetterselo.
E’ detta influenza spagnola non perché ebbe origine in Spagna (forse la ebbe nel Kansas americano,o forse nell’ospedale militare di Etaples in Francia) ma perché il paese non era in guerra e la sua stampa era la sola a darne informazione, non essendo vincolata dalla censura di guerra degli altri paesi, che tennero nascosto il nuovo flagello il più possibile.
Oggi una pandemia ugualmente molto virulenta potrebbe diffondersi perché i virus influenzali (isolati di tipo A, B, C ) si modificano molto nella loro struttura, sono classificati in vari ceppi. Abbiamo per lo più gli antibiotici e i vaccini, c’è più igiene, ci si nutre meglio, siamo più informati, però gli innegabili cambiamenti climatici che influenzano la circolazione degli agenti patogeni e modificano i tempi e i percorsi degli uccelli migratori, la resistenza agli antibiotici, il viaggiare di più possono favorire la diffusione delle infezioni ospitate negli animali o negli umani. Servono una rete di sorveglianza virale globale e una integrata politica sanitaria in tutto il pianeta superando nazionalistici provvedimenti, perché i virus non rispettano i confini e scavalcano i muri.
Maria Luisa Simoncelli