Celebrata lunedì 2 luglio a Pontremoli la festa della Madonna del Popolo
La Città di Pontremoli ha celebrato ancora una volta la festa della Madonna del Popolo rinnovando la sua fiducia e devozione alla Madre che da secoli la protegge: ospite di rilievo della giornata è stato l’arcivescovo di Pescara-Penne, mons. Tommaso Valentinetti. Nella mattinata di lunedì 2 luglio i sacerdoti della diocesi si sono riuniti attorno al Vescovo in una giornata di fraternità sacerdotale nella quale hanno festeggiato i 70 anni di sacerdozio di don Emilio Colò e i 60 anni di don Giovanni Battista Virgili, di don Tonino Cocchi, di p. Angelo Gila.
Nel pomeriggio, la celebrazione dei Vespri ha preceduto la solenne processione per le vie cittadine. Tutte le celebrazioni liturgiche sono state seguite con grande partecipazione e devozione.
Pontremoli, Solenne Pontificale di lunedì 2 luglio; da sinistra: mons. Santucci, mons. Valentinetti e mons. Binini
Mons. Tommaso Valentinetti, che dapprima ha intrattenuto i sacerdoti sui temi della fraternità, quindi – affiancato da mons. Santucci e dal vescovo emerito Eugenio – ha presieduto il solenne pontificale delle ore 11, animato dalla corale “S. Cecilia”. Degne di nota le riflessioni che ha proposto nell’omelia di cui riportiamo ampi stralci.
Era presente il sindaco, Lucia Baracchini – che ha rinnovato il dono della cera votiva a nome della cittadinanza – ed era affiancata da rappresentanti dell’amministrazione e dall’on. Cosimo Ferri. Mons. Valentinetti ha preso ispirazione dal titolo offerto dalla comunità di Pontremoli alla Vergine Maria: la Madonna del Popolo. La figura di Maria “donna del popolo” si collega a quanto la liturgia della domenica ha fatto intravvedere della stessa persona di Gesù che predicava, annunciava, guariva in mezzo al popolo, quasi non accorgendosi di quanto accadeva. Maria è la prima che ha portato Cristo, non solo nella visita ad Elisabetta, ma anche per la sua nascita e nel suo accoglierlo nel grembo quando fu deposto dalla croce. È urgente portare Cristo: lo dobbiamo fare come comunità cristiana.
La “nuova evangelizzazione” deve avere la capacità di ridire il vangelo ad ogni fratello, ad ogni sorella. In questo i protagonisti sono i vescovi e i presbiteri a cui è affidato il vangelo, con i diaconi, i ministri e quanti collaborano in questo servizio. Se non recuperiamo la capacità di essere popolo che evangelizza, come Papa Francesco ci chiede nella Evangeli Gaudium, si va incontro a tante perplessità e delusioni.
La passione per il vangelo, la Chiesa e il mondo
L’arcivescovo di Pescara-Penne, mons. Tommaso Valentinetti
Mons. Tommaso Valentinetti, nella sua omelia al Pontificale di lunedì mattina, ha sottolineato tre pensieri per chiarire come questa evangelizzazione deve camminare. Il primo deriva dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Romani: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno…”. La prima ricetta per una buona evangelizzazione è la comunione. Se prescindiamo dal volerci bene, dall’essere comunità, dall’essere un cuor solo e un’anima sola, non evangelizzeremo nessuno perché se una casa è divisa in se stessa, quella casa cade.
Ma questa unità tra vescovo e presbiteri, fra presbiteri e laici deve essere sempre più sostenuta da una coraggiosa comunione di coinvolgimento di un laicato che non deve rimanere spettatore muto con gli strumenti che oggi la Chiesa ci mette a disposizione: i consigli pastorali parrocchiali e diocesani. Forse i presbiteri credono poco a questo coinvolgimento: tentano qualche volta di farlo, ma si scoraggiano quando non sentono quell’afflato che li sosterrebbe e darebbe loro coraggio per andare avanti.
E i laici non si sentono talmente coinvolti: molte volte ci si nasconde dietro il “non so fare”, “non sono all’altezza di”, ma il vescovo è all’altezza di fare il vescovo, i presbiteri di fare i presbiteri? È solo grazia di Dio, solo potenza dall’alto, solo misericordia che viene donata costantemente, giorno per giorno. Se ci mettiamo in questa capacità di essere realmente Chiesa che cammina nel tempo, che attraversa le situazioni più disparate della vita, allora sicuramente non saremo pigri nel fare il bene, saremo ferventi nello spirito, lieti nella speranza e costanti nelle tribolazioni, ma soprattutto perseveranti nella preghiera. Se il Signore ci dà la grazia di capire quanto è importante questo primo passaggio, forse, ci darà la grazia di capire quanto è importante il secondo. Dal profeta Sofonia: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente”.
Il Vescovo Giovanni festeggia don Tonino Cocchi per i 60 anni di sacerdozio
Il profeta sa che non siamo soli, che il Signore ci sostiene, ci accompagna ma, oltre al coinvolgimento della comunione, ci chiede il coinvolgimento della passione per il vangelo, per la Chiesa, per il mondo; per i peccatori, per i lontani, per coloro che non conoscono Dio, che lo rinnegano. Per i presbiteri questa passione nasce dal giorno in cui sono stati ordinati sacerdoti o forse già da quando hanno sperimentato la passione di servire il Signore. Per i laici è il giorno del battesimo, confermato dall’unzione crismale della cresima e, per chi ha celebrato il sacramento del matrimonio, da una celebrazione piena d’amore perché come famiglia piccola Chiesa, immagine perfetta dell’amore di Dio per l’umanità e di Cristo per la Chiesa.
Infine, la terza parola dal bellissimo inno del ‘Magnificat’: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente… Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
Dio la sua scelta di campo l’ha già fatta: ha scelto gli ultimi, i poveri; Dio non ha scelto i superbi, non ha scelto i potenti, i ricchi, i sazi. Se come Chiesa non rimettiamo al centro questi fratelli perché siano realmente la perla preziosa della Chiesa, non evangelizzeremo.
Una Chiesa povera, allora, non arroccata nella superbia, non una Chiesa potente, bensì umile, che sa lavare i piedi ai peccatori, una Chiesa che sia realmente capace di comprendere che gli affamati vanno ricolmati di beni, che gli ultimi vanno ricolmati d’amore. Gli ultimi in questo momento si chiamano immigrati, che stanno ancora una volta morendo in uno specchio di mare che è il Mediterraneo. Non si può speculare politicamente su queste realtà umane, nessuno può farlo, né l’Italia né l’Europa. Tutti devono avere il coraggio di assumersi la responsabilità dell’accoglienza e di una accoglienza fatta per amore e solo per amore, per umanità e solo per umanità perché se vogliamo rinnovare il mondo nell’amore, prima di tutto dobbiamo umanizzarlo.
In chiusura, l’invocazione affinché “la vera donna umana, talmente umana che si chiama Maria, che ha mescolato la sua vita con tutta la vita di Gesù e tutto il ministero di Gesù, ci insegni questa umanità e interceda per noi perché sappiamo camminare fedeli alla luce della Parola per vivere integralmente il vangelo”.
P. Angelo Gila festeggiato per i 60 anni di sacerdozio