La conferenza di Sandro Santini promossa dall’associazione Farfalle in Cammino nel centro didattico adiacente alla millenaria Pieve
Sarà per le suggestioni che sempre la sua elegante antica pieve evoca, ma Filattiera e Sorano hanno un fascino del tutto particolare al quale non sono sfuggiti gli illustri storici di casa nostra, da Pietro Ferrari a Manfredo Giuliani, a Mario Niccolò e Piermaria Conti, Augusto Ambrosi e Tiziano Mannoni, per citarne solo alcuni.
Così sabato scorso col patrocinio del Comune, nel Centro didattico gestito dall’associazione Farfalle in Cammino, il complesso e articolato racconto di Sandro Santini ha richiamato un folto pubblico stimolato dalla sintesi degli studi e delle ricerche presentate, ma anche dalle nuove ipotesi di ricerca sul ruolo che il territorio soggetto alla pieve di Santo Stefano ha avuto nel contesto della Val di Magra, già prima della cristianizzazione.
Secondo Santini l’alto numero di statue-stele concentrato tra Filetto, Filattiera e Groppoli testimonierebbe, oltre ad un intenso antico popolamento dell’ampia fertile area, anche un suo forte carattere di sacralità remota che necessitava di essere cristianizzata ancora ai tempi del mitico Leodegar il cui epitaffio ricorda, ancora nel secolo VIII, l’opera di evangelizzazione e conversione di genti ancora dedite a culti pagani.
Certamente, concorda Santini, non furono le statue stele gli idoli spezzati da Leodegar (i Liguri che praticavano il rito dell’incinerazione dei defunti già le avevano abbandonate e riutilizzate come elementi delle tombe a cassetta a Filattiera come a Canossa), ma anche sulle chiese da lui fondate Santini accoglie l’ipotesi di Mario Niccolò Conti che individuerebbe San Benedetto nella cella monastica di Groppoli-Talavorno e San Martino nella chiesa cimiteriale di Mulazzo, entrambe rientranti nel territorio amministrativo della Pieve dove operò Leodegar.
In ogni caso Filattiera, ancor prima di Pontremoli, ha avuto un ruolo chiave nella storia della Val di Magra come tappa romana di accoglienza sulla strada che attraverso la sella del Valoria raggiungeva Parma, poi come barriera strategica militare ai tempi della presenza bizantina e delle varie successive dominazioni che hanno comportato, assieme alle alluvioni del fondovalle, una serie di spostamenti degli insediamenti prima che i Malaspina ne facessero la capitale del ramo dello spino fiorito, di fronte all’altra capitale del feudo dello spino secco a Mulazzo, entrambe poste a fronteggiare le ambizioni del libero comune di Pontremoli. Santini ha presentato una sorprendente carrellata di immagini, inedite per il grande pubblico, degli scavi della fattoria romana, della struttura difensiva e della strada del sesto secolo indagate da Tiziano Mannoni ed Enrico Giannichedda, così come quelle su Montecastello.
Ed è merito di Santini aver assunto come suo compito di ricercatore proprio questa importante iniziativa di raccolta e divulgazione di una documentazione, anche fotografica, non facilmente accessibile: si potrà essere più o meno concordi con interpretazioni e nuove ipotesi di Sandro, ma sollevare un dibattito tra studiosi e appassionati di storia locale è pur sempre opera importante quando, come in questo caso, invita a valorizzare le vicende delle nostre comunità troppo spesso raccontate sulla base di studi che non tengono conto delle evidenze archeologiche e di documentazioni ancora sepolte nei faldoni d’archivio e, comunque necessarie di rivisitazione in base a nuove metodologie d’indagine, così come hanno sottolineato nei loco interventi Germano Cavalli e Giuseppe Benelli.
Riccardo Boggi