Mehmet Barut è un grande intellettuale curdo, processato e privato della docenza universitaria a causa dell’indagine sociologica condotta con rigoroso metodo scientifico sull’esodo di massa di curdi costretti dal governo turco a lasciare la loro terra, il lavoro, la casa. Il libro racconta la violazione dei diritti a danno della minoranza curda che vive in Turchia orientale e sudorientale.
La ricerca ha la forza concreta dei numeri: sono state coinvolte in 6 città, (tra cui Istanbul, Smirne, Van) 17.875 persone scelte con precisi criteri di rappresentatività, distribuite in 2.139 unità familiari di dimensione media di 8 membri: hanno compilato un questionario (riportato nelle Appendici) che include 127 domande formulate secondo i criteri teorici e metodologici della sociologia. L’argomento fondamentale della ricerca è comprendere i fenomeni migratori, una costante nella storia dell’uomo, di stretta attualità e narrato in modo erroneo e allarmistico, senza verifica corretta dei fatti.
Il libro ha il titolo La terra del silenzio, (Infinito edizioni, Portici, 2006) emblematico per esprimere l’oblio calato sul dramma della migrazione forzata dei curdi in Turchia, particolarmente perseguitati dopo la lotta armata del PKK fondato da Ocalan nel 1977; 3.438 villaggi evacuati, oltre 4 milioni costretti ad un esodo forzato che tolga identità etnica e culturale. Ma la “questione curda” – intesa come violazione dei diritti umani di un popolo di antica discendenza dai Medi indo-iraniani arrivati nel 614 a. C. nell’area geografica compresa tra Armenia, Azerbaijan, Iran, Iraq, Siria e soprattutto Turchia – è molto complicata, conosce ondate repressive di estrema violenza e di grandi dimensioni e di lunga durata.
L’indagine materia del libro di Mehmet Barut si ferma al 2006, ma i curdi sono tuttora usati e poi abbandonati nel quadro della tragedia della guerra che dura dal 2011 in Siria e Iraq: prima i curdi iracheni (peshmerga) si sono guadagnati considerazione per aver liberato Mosul, Kobane, Raqqa dai terroristi dell’ISIS , poi di nuovo oppressi dai governi interessati a controllare il Kurdistan ricco di petrolio. Il presidente turco Erdogan sta facendo di nuovo pressione contro i curdi, non vuole perdere il controllo del Tigri ed Eufrate e non vuole che si formi un Kurdistan indipendente o autonomo.
Oggi i curdi sono “strumentalizzati dagli Usa, barattati da Putin, odiati da Assad, massacrati da Erdogan” col suo regime di stampo dittatoriale. I dati della ricerca del libro sono impressionanti: le cause prioritarie dell’esodo (una deportazione , osserva lo storico Marco Revelli nella prefazione ) sono le attività della polizia turca, l’incolumità personale messa a rischio, il sistema dei “guardiani di villaggio” che controllano e opprimono la vita quotidiana, quasi per niente invece incidono i motivi religiosi, scolastici o sanitari. Portati a forza nelle periferie urbane, la loro integrazione è piena di ostacoli e infinito è il desiderio di tornare al proprio “nido svuotato”.
Maria Luisa Simoncelli