Con un’argilla pregiata, quella della cava della Brina a Ponzano, l’ing. Carlo Vaccari trasformò una vecchia fabbrica di laterizi in un’azienda che arrivò a dare lavoro a 1.500 persone.
La crisi cominciò a partire dagli anni ’60 soprattutto a causa del mancato adeguamento tecnologico della fabbrica e l’ascesa del comprensorio di Sassuolo, capace di produrre a costi più contenuti
Quando si osserva il mercato dei prodotti ceramici, anche per i non addetti ai lavori è facile riconoscere nella Cina l’attuale leader mondiale della produzione e nel distretto di Sassuolo la realtà italiana più importante; molto meno conosciuto è il fatto che prima dell’ascesa di Sassuolo, a partire dagli anni ’60, la produzione nazionale e internazionale di piastrelle aveva la sua azienda leader in Val di Magra, nel piano di Ponzano, tra Santo Stefano Magra e Sarzana.
Si tratta della Vaccari, un’azienda identificatasi con l’ingegnere genovese Carlo Vaccari, che scoprendo le peculiarità dell’argilla estratta dalla cava della Brina rilevò assieme all’industriale Carlo Tassara, nei primi anni del XX secolo, una preesistente fabbrica di laterizi per produrre un grès durissimo e dall’inconfondibile colore, il “rosso Ponzano”, tratto distintivo delle mattonelle esagonali, prodotto di punta dello stabilimento, che ancora oggi pavimentano edifici pubblici e privati in tutta Italia.
Il successo della Vaccari lo si misura dagli addetti: nel 1950, prima dell’inizio di una lunga crisi, vi lavorano 1.500 maestranze provenienti da tutta la Val di Magra e dalla Lunigiana. La fabbrica era leader europeo del settore; un binario a scartamento ridotto collegato con la vicina stazione ferroviaria e il porto della Spezia agevolavano la commercializzazione di un prodotto noto per la sua resistenza agli urti e all’usura ma anche per un design di successo, come nel caso della mattonella “mosaico”, composto di tessere 2×2 cm di diversi colori.
Il Nuovo Opificio Vaccari per le Arti
Nel nuovo borgo urbano le relazioni sociali del vecchio mondo rurale saranno soppiantate da quelle della tipica società industriale, in cui attorno alla fabbrica si sviluppa l’intera vita della famiglia operaia: consumi, assistenza, tempo libero, istruzione, politica: la coscienza operaia trasforma radicalmente il panorama elettorale di una comunità fino ad allora fondata sulla piccola proprietà contadina e sulla mezzadria. Anche sotto il profilo economico la Vaccari contribuirà a mutare stili e tenore di vita. Non solo con gli stipendi, ma anche, a partire dagli anni ’60, con le pensioni da silicosi. Le centinaia di assegni previdenziali hanno ancora sull’area santostefanese un impatto economico evidente. Cosa rimane oggi della gloriosa Ceramica? Mentre la cava di argilla è al centro di un intervento di bonifica coinvolto anche in inchieste giudiziarie per presunti reati ambientali, all’indomani della chiusura, il Comune di Santo Stefano ha scelto di optare per una riconversione (per la verità da molti criticata) del sito in area culturale, con il progetto NOVA (Nuovo Opificio Vaccari per le Arti). Alcune aree, oggi in comodato gratuito al Comune, sono state assegnate a imprese operanti nei campi dell’arte e della musica. In altri spazi sono inserite nuove funzioni pubbliche, dalla biblioteca comunale, alla sala del consiglio comunale, ricavata nell’Opificio Calibratura, acquistato dal Comune, intenzionato al recupero della memoria di un luogo che ha rappresentato un pezzo di storia del lavoro della Val di Magra.
Le esportazioni nel continente americano e in tutta Europa porteranno Carlo Vaccari, secondo una testimonianza raccolta da Mario Giannoni nel libro La fornace di Ponzano: l’argilla, il lavoro, il paese (Ed. della Luna, Sarzana, 1995) ad affermare “ovunque nel mondo io camminerò, camminerò sempre sulla mia terra”. La crisi della Vaccari comincia a partire dagli anni ’60: il mancato adeguamento tecnologico della fabbrica, l’ascesa di Sassuolo, capace di produrre a costi più contenuti, e l’orientarsi della domanda verso prodotti di costo più contenuto e di minore resistenza, come le monocotture, che però avevano il pregio di andare incontro alla tendenza al rinnovo periodico dei rivestimenti, segnano l’inizio di un declino fatto di mancata visione manageriale, fallimenti pilotati, l’intervento pubblico della Gepi e diversi passaggi di proprietà.
Lotte sindacali e vertenze pubbliche non fermeranno la discesa che porterà i 140 mila metri quadrati del complesso produttivo della “Ceramica”, a chiudere definitivamente nel 2006, quando ancora impiegava 170 addetti.
Ma la storia della Vaccari non è riducibile soltanto alla sua parabola economica. Sono le trasformazioni sociali, civili e urbanistiche indotte dall’impianto a renderla una peculiare traccia di storia e cultura industriale della Valle del Magra, a partire dal villaggio operaio di Ponzano Magra, costruito nei pressi della fabbrica, come documenta Alice Cutullè in La Ceramica Ligure Vaccari. Storia, archivio, produzione (Ed. Sagep, Genova, 2013).
Questo si sviluppò a partire dai primi anni del Novecento con una struttura a ferro di cavallo dove risiedevano gli operai, chiamata la Corte, e da una villa padronale. Con l’aumento della produzione fu necessario espandere il sito: negli anni ‘30 vennero edificate nuove case operaie, lo spaccio aziendale, la mensa, lo spogliatoio, il deposito di biciclette, la chiesa parrocchiale e la palazzina della dirigenza.
Davide Tondani