
Giorno della Memoria. Due bei film da storie vere delle persecuzioni patite dagli ebrei
Ricorrenze come quella del Giorno della Memoria in ricordo dell’ Olocausto si prestano in modo particolare ad una celebrazione che faccia ricorso al cinema nell’intento di far comprendere più facilmente ai giovani studenti l’argomento. A conferma di ciò, negli ultimi anni, a ridosso di quella data escono film che trattano il tema dell’ Olocausto, finalizzati ad un loro utilizzo da parte delle scuole. Lo scorso anno era toccato a Il viaggio di Fanny, di cui parliamo qui a fianco; quest’anno è stata la volta di Un sacchetto di biglie, film tratto dall’omonimo romanzo autobiografico scritto nel 1973 da Joseph Joffo, già portato sul grande schermo da Jacques Doillon nel 1975.
La storia non è nuova. Siamo nel 1941 e due fratelli ebrei parigini, Maurice e Jo, a causa dell’occupazione nazista si trovano catapultati in peripezie del tutto inadatte alla loro età. Cercando di metterli in salvo, i loro genitori li mettono in viaggio per Nizza, dove già si sono sistemati due fratelli più grandi: con astuzia, coraggio e ingegno, superando difficoltà di ogni genere, i due fratelli riusciranno a sopravvivere alle barbarie naziste e a ricongiungersi alla famiglia. Questo vero e proprio viaggio iniziatico segna per loro la fine dell’infanzia e li segnerà per tutta la vita. Le peripezie narrate sono tali da far pensare ad una storia di fantasia, mentre si tratta di esperienze vere, drammatiche, capaci di coinvolgere e commuovere non solo i giovani.
Ma proprio pensando ai giovani val la pena di fare una riflessione sulla necessità di mantenere vivo nelle nuove generazioni il senso del ricordo e della sofferenza patita da quelle precedenti e sulla possibilità di riuscire in questo nobile intento. Non solo quanto raccontato in Un sacchetto di biglie appare notevolmente distante dalla nostra vita.
Tutte le interviste ai sopravvissuti all’ Olocausto ripropongono la stessa domanda: come è possibile che tutto questo sia potuto accadere? Non nei “secoli bui” vissuti da società ancora lontane da quella che si è soliti definire “civiltà”, ma solo una settantina di anni fa, quando molti di noi erano già nati o poco prima che ciò avvenisse. Proprio perché riesce difficile pensare che situazioni di quel tipo possano ripresentarsi e sapendo – senza bisogno di scomodare Vico – che purtroppo tante volte la storia si ripete, è bene informare i giovani sui rischi che l’uomo corre quando perde il lume della ragione.
Il viaggio di Fanny
Sono stati il tocco lieve e lo sguardo sensibile sul mondo infantile della regista francese Lola Doillon a portare alla vittoria al Giffoni Film Festival 2016 il suo film “Il viaggio di Fanny”, poi fatto uscire nelle sale a gennaio 2017 in coincidenza con il Giorno della Memoria. Anche in questo caso siamo di fronte ad avvenimenti realmente accaduti, che hanno come protagonisti dei bambini che, nell’estate del ’43, nella Francia di Vichy, vengono affidati dai genitori alle colonie per le vacanze francesi, nella speranza di metterli al riparo dalle deportazioni. Quando la situazione si fa ancor più pericolosa, la dodicenne Fanny, le sue due sorelline e i loro amici si trovano in balia di se stessi in una peregrinazione senza sosta verso la libertà rappresentata dall’attraversamento del confine svizzero.
È Fanny, quindi, che, “piccola” ella stessa, senza la protezione e il riferimento di adulti, si trova a dover guidare questo gruppo di ragazzini disperati e alla mercé della bontà e dell’umanità delle persone incontrate lungo il viaggio. Impossibile non pensare ai viaggi dei migranti in questo nostro tempo; ai tanti minori sradicati dalla loro terra, a volte dai loro genitori, dalle violenze, dalla miseria, dalle tante ingiustizie che, oggi come ieri, colpiscono i più deboli e indifesi. Impossibile non fare il tifo per loro, così come per Fanny in questo film appassionante e, a tratti, adrenalinico.