Dazi protettivi fino alla Prima Guerra Mondiale, poi forte protezionismo. Dal 1945 totale libertà di mercato. A livello globale si è riacceso in queste settimane il dibattito tra le due politiche economiche
Secondo l’etimo greco economia significa legge della casa, un “affare” privato. Un primo programma economico statale è in Francia con Luigi XIV, viene dalla genialità del collaboratore del re J.B. Colbert (1619-’83). Il colbertismo è un sistema protezionistico di barriere doganali per favorire lo sviluppo delle industrie francesi, con riduzione delle importazioni, per non passare all’estero moneta in oro e argento, e con aumento delle esportazioni. Nacquero gli “ateliers” nazionali degli arazzi Gobelins, poi delle porcellane di Sevrès. Fu il primo grande tentativo di economia autarchica sperimentato dall’Europa.
Lo sviluppo del capitalismo portato dalla rivoluzione industriale favorisce la libera concorrenza e misure protettive si limitano alle industrie nascenti o più deboli. I due massimi economisti “classici” David Ricardo e Adam Smith nel Settecento danno fondamento alle tesi liberiste, predominanti nel XIX secolo. Per i paesi a ritardato decollo industriale (USA, Germania, Italia,Giappone) il libero mercato non era d’aiuto: dal 1873 adottano un’aggressiva politica protezionistica.
Si scatenano guerre commerciali che si legano col nazionalismo, ideologia che deteriora il valore della nazione per assumere quello di lotta per la supremazia di una nazione contro le altre. Fino alla vigilia della Grande Guerra si mettono dazi protettivi sulle importazioni, si fa “damping” che è la vendita sottocosto sui mercati esteri di prodotti nazionali per battere la concorrenza, ma il recupero nel bilancio avviene con aumento dei prezzi sul mercato interno, si controllano cambi monetari e movimento dei capitali.
Un protezionismo più forte è praticato tra le due guerre mondiali, la grande crisi del 1929 porta a rigida chiusura delle economie nazionali che in Italia prende forma di autarchia. Dopo il 1945 gli Stati non comunisti e non totalitari praticano una libertà totale di mercato secondo le linee guida della Conferenza di Bretton Woods del 1944 che stabilisce l’ordine monetario postbellico, fa finire l’isolazionismo economico americano, dà predominio al dollaro statunitense.
A tutela del liberismo economico nascono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Le crisi energetiche del 1973 e 1979 riaccendono spinte protezionistiche poi gradualmente indebolite. Dagli anni ottanta coi governi Reagan e Thatcher è esaltato il “mercato economico e finanziario senza freni”, con la spinta a comprare senza avere i soldi con vincoli di mutui e rateizzazioni, che poi non pagati hanno causato la grave crisi economica partita dal 2008, dalla quale l’Occidente sta faticosamente uscendo, aggredito dalla concorrenza globale dei paesi emergenti e dal dominio della speculazione finanziaria sull’economia reale e sulla politica.
In Italia la grande industria nasce con misure di protezionismo
Le regole degli Stati dell’UE Unificata l’Italia, bisognava “fare gli italiani” e anche promuovere grandi opere pubbliche (ferrovie, imprese navali, siderurgiche, meccaniche ed energetiche). Per reperire capitali la Destra storica spremeva i cittadini con le tasse riducendo il potere d’acquisto. Gli imprenditori e i latifondisti agrari avevano grandi difficoltà nel far decollare la produzione per modesto accumulo di capitali, per la concorrenza estera e con un mercato interno ristretto. Col passaggio nel 1876 al governo della Sinistra liberale (non marxista) fu adottata una politica protezionistica; sull’esempio dato dal cancelliere tedesco Bismarck, furono imposti dazi sui prodotti industriali stranieri, sul grano dagli Usa e dalla Russia. Con alleanza tra borghesi del Nord e agrari del Sud si andò affermando in Italia un tipo di sviluppo che durerà fino alla caduta del fascismo. Il fiscalismo pesante dello Stato durò per finanziare, in tempi di contrasti imperialistici, l’industria pesante e monopolistica per la formazione di eserciti e flotte moderne che richiedeva grandi capitali che potevano solo fornire gli Stati con la leva fiscale o le banche che facevano potente pressione sulla politica. Il Sud fu la principale vittima del fiscalismo senza ricevere in cambio investimenti industriali e per innovazione nelle coltivazioni pregiate con ulteriore distacco tra le due parti d’Italia. Il protezionismo ebbe la più grave ripercussione nei rapporti con la Francia che con dazi di rappresaglia colpì il mercato delle primizie ortofrutticole e la viticoltura pugliese. Per sopravvivere negli ultimi 20 anni del secolo più di due milioni emigrarono, spesso i più attivi e capaci. In occasione della recente riunione a Davos dei padroni della ricchezza del mondo abbiamo letto che essi sono l’1% degli abitanti del pianeta ma possiedono quanto il restante 99%. Sta sorgendo un nuovo interesse per il protezionismo pensando che potrebbe cautelare i posti di lavoro e contrastare le delocalizzazioni. La situazione è molto intricata, la concorrenza non può essere sconfitta rimettendo i dazi, la soluzione forse è trovare una forma di equilibrio; gli Stati raggruppati dell’Ue evitano di farsi concorrenza in comparti importanti, però qualche neoprotezionismo lo praticano quando sforano parametri pattuiti.
Maria Luisa Simoncelli