
Una commovente cerimonia di ricordo durante la “Settimana della Memoria”
Durante una toccante cerimonia – inserita nella “Settimana della memoria”, una iniziativa che da alcuni anni è diventata, soprattutto per gli studenti fivizzanesi, il momento della rievocazione, affidata ad illustri relatori, delle violenze commesse nel comune dalle milizie nazifasciste negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale – sono stati consegnati due attestati di benemerenza a Silvana Paradisi e Dino Carlini. Delle autorità, erano presenti, oltre al sindaco Paolo Grassi, il prefetto Enrico Ricci, il senatore Claudio Martini, il consigliere regionale Giacomo Bugliani. Quelle due persone della Valle del Bardine, ora anziane, il 17 agosto del 1944 furono protagoniste di altrettanti episodi concreti di pietà e di solidarietà verso due giovani a loro sconosciuti, che combattevano su campi avversi, ma che in quel giorno ebbero bisogno di aiuto: un tedesco e un partigiano. Rimasti gravemente feriti nello scontro a fuoco di Bardine di San Terenzo Monti, nel quale perirono 16 SS e un partigiano della “Ulivi”, furono trasportati, l’SS, su una barella, al quartier generale tedesco di Fosdinovo da Silvana Paradisi e da tre sue amiche, il partigiano, al campo di Viano della formazione “Ulivi” da Dino Carlini, in groppa ad un asino. Il soldato tedesco non sopravvisse alle ferite ed il 18 morì – il 19 fu il giorno dell’eccidio di Valla -, al partigiano fu amputato un braccio.
Ma sono anche altre le “storie vere”, di fatti di grande umanità, che, pur avvenuti in tempo di guerra e di odio, non hanno niente a che fare con la voglia di combattere e di abbattere il nemico. Fa parte della narrazione di episodi accaduti nel periodo bellico ricordato, e riconducibili a quei comportamenti esemplari, anche la vicenda vissuta da Eliseo Pellini di Equi Terme. Catturato da due soldati tedeschi delle SS mentre usciva di casa all’indomani dell’otto settembre, essendo per i due un sospetto partigiano, veniva da loro accompagnato, lungo il sentiero che unisce i due paesi, verso il loro comando situato ad Ugliancaldo. Giunti in prossimità del paese, Eliseo, che a ragione temeva che l’arrivo al comando sarebbe coinciso con la sua fine, mentre uno dei due tedeschi si era fermato a raccogliere delle more, colpì con un violento pugno l’altro e con un balzo si gettò giù per la ripida scarpata in mezzo ai rovi e ai cespugli e, un po’ ruzzolando e un po’ correndo, riuscì a sfuggire ai soldati e ad evitare gli spari, approfittando anche della miglior conoscenza dei luoghi. Non molto tempo dopo, imbattutosi, nei pressi di Equi, in un milite repubblichino piuttosto malridotto, perché affamato e leggermente ferito, pur essendo lui diventato partigiano, lo accolse in casa e lo rimise in condizione di “andare per la sua strada”. Terminata la guerra, Eliseo, in segno di devoto ringraziamento, fece erigere nella mulattiera che porta a Ugliancaldo una piccola lapide, con la scritta “A Maria, che salvò Eliseo Pellini dall’insidia nemica”. Ma neppure il giovane da lui soccorso si dimenticò dell’aiuto prestatogli e venne da Poggio Rusco, in provincia di Mantova, a ringraziarlo. Fu così che, nel tempo, fra la famiglia di Luciano Truzzi, ingegnere, e la famiglia di Pellini si instaurò un rapporto di amicizia fatto di telefonate, di visite, di scambio di regali, che per il Truzzi è finito solo con la morte avvenuta un paio di anni orsono.

Che dire, poi, della testimonianza raccolta da Valeria Bizzarri presso il maestro Bruno Bartoli a Gragnola, per passarla al prof. Eugenio Bononi, che col titolo di “Le donne gragnoline” ce l’ha donata e autorizzato a rendere pubblica? “In località Casette un soldato tedesco, di postazione in una zona adiacente al paese, stava per cadere vittima di un agguato di un commando partigiano. Alcune donne, di cui non viene ricordato il nome, fecero cerchio intorno a lui e con questo gesto gli salvarono la vita, perché i partigiani desistettero dal loro proposito”. L’episodio viene definito “un’azione di buon senso”: per il timore di una rappresaglia? Per non poter assistere all’uccisione di un giovane soldato, anche se nemico? Valeria Bizzarri lo ritiene “un ottimo esempio di una innata saggezza, indipendente dal grado di cultura o dal ceto sociale, ma viva nello spirito delle donne di Gragnola del tempo, semplici contadine o massaie”. Una commovente storia di sfuggiti miracolosamente alla morte ce la racconta anche lo scrittore e regista Luigi Monardo Faccini nel libro “La baia della torre che vola”: “Scampai alla strage di San Terenzo. Era nel ’44, il 19 agosto. Avevo 4 anni… Vezio raccontò che c’era un cartello sul cumulo insanguinato di donne e bambini a Valla: Questa è la vendetta dei 17 tedeschi uccisi al Bardine… Mancavo io a quella conta. Mio zio Urbano mise, me, i suoi figli, e sua moglie Jole, su una macchina di passaggio. Gridò: ‘Al piàn, al piàn, porteli al piàn! Quarc’d’un vegnirà a piàgi!’”. È doveroso serbare il ricordo di tutti questi fatti e delle immani tragedie del passato, ma a che vale se prevalgono solo e sempre le parole, ricche di significato, ma impossibilitate a dare luce al presente e al futuro, se staccate dalla realtà? C’è il rischio che rimangano, per rubare un verso al poeta Mario Luzi, “ …disabitata trasparenza”.
Andreino Fabiani