Nei malati Gesù chiede di essere incontrato

Al Santuario dei Quercioli il vescovo ha presieduto la celebrazione diocesana della Giornata dedicata

“La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato”. Questa la frase sulla copertina del libretto approntato per la celebrazione della 33.ma giornata del malato, svoltasi l’11 febbraio nel Santuario dei Quercioli.
La copertina presentava anche particolare icona del Gesù “bel pastore” che al posto della pecora, aveva sulle spalle una persona: il sofferente. Ed erano molti i sofferenti presenti alla celebrazione, curata dall’Ufficio Pastorale della Salute, con l’aiuto del Centro Volontari della Sofferenza e di Fede e Luce.
Don Cesare Cappè, prima dell’inizio dell’Eucarestia, presieduta dal Vescovo, ha ricordato che “nei malati Gesù chiede di essere incontrato”, e che la Via della Croce è l’unica strada per la salvezza. Anche la scelta del canto iniziale, “Se m’accogli”, ha sottolineato il valore salvifico della sofferenza, nelle parole “nella gioia e nel dolore, fino a quando tu vorrai, con la mano nella tua camminerò”.
Questo tema è tornato anche nelle parole del Vescovo, che ha ricordato quanto Dio sia vicino al nostro dolore, incontrandolo e redimendolo. Citando la prima lettura Fra’ Mario ha fatto notare che le parole di consolazione, scritte dopo il periodo doloroso dell’esilio babilonese, sono l’esempio della promessa di liberazione compiuta da Dio.
E se, storicamente, il tempo della deportazione babilonese è lontanissimo, e rischia di dire poco o nulla alla storia presente, non così l’esperienza del dolore, la cui drammaticità attraversa ogni epoca e può parlare all’uomo di oggi.
Ecco allora che quella parola diventa un invito alla speranza, a credere in Dio, che opera nella storia, ieri come oggi; e lo fa attraverso i sacramenti, segni visibili e operanti della sua grazia. L’eucarestia, come dono della vita stessa di Gesù, ma anche il sacramento dell’unzione, segno della consolazione di Dio alle sofferenze dell’uomo.
Toccante è stato il momento dell’unzione, che molti dei presenti hanno ricevuto dal Vescovo che ha rinnovato il gesto compiuto tante volte da Gesù: quello del “toccare” i malati. Un tocco morbido con l’olio che è penetrato nella pelle di chi si è avvicinato, diventando un tutt’uno con la persona.
Altro momento emotivamente forte è stato quello dell’accensione dei flambeu, in comunione con il gesto che si svolge a Lourdes; l’accensione, da parte di Fra’ Mario, della candela dal cero pasquale, gesto che ci ricorda che nulla siamo, senza la luce della Pasqua, che è la luce del Crocifisso Risorto.
Quella piccola candela ha dato luce ad altre, in un passaggio di fiamma evocativo della veglia pasquale, che ha reso visibile la necessità di “essere per l’altro”, fuggendo la tenebra del “far da soli”. Cantando l’inno di Lourdes, quelle candele sono poi state alzate al cielo, in un’offerta al Dio della Vita.
Non è un caso, infatti, che la giornata del malato sia stata affidata alla cura materna di Maria, che è apparsa a Bernardette; ragazzina cagionevole di salute, ben conscia del valore del dolore. E non è un caso che la celebrazione si sia svolta a Quercioli, dove Maria ha compiuto, e compie, miracoli e segni; uno fra tutti, proprio il “cuor sol” ed un’anima sola con cui la celebrazione è stata preparata è vissuta.

(L.Z.)