
Un viaggio con la memoria in un evento della tradizione

Mentre nell’aria c’era ancora la letizia della Resurrezione, il Lunedì dell’Angelo, denominato “Pasquetta”, era per l’intera vallata bagnonese un rito, quasi sacro, da condividere con adulti, anziani e bambini. Le frazioni a monte si ripopolavano poiché l’esercito degli emigranti, sparsi ovunque, in primis il “popolo dei barsan”, facevano ritorno al borgo dell’anima per trascorrere in famiglia la festa delle feste: Pasqua. Al dì “ad Pasqueta” ci alzavamo presto. Tutti in fila, come in una lunga processione, fra sentieri e scorciatoie per raggiungere Bagnone dove si svolgeva l’attesa fiera di Pasquetta. Le donne portavano, al braccio, cavagni colmi di cibi caserecci preparati per l’occasione. Non potevano mancare, nel solco delle tradizioni, le torte d’erbi e di riso, focacce, con le foglie, cotte nei testi, salumi e formaggi nostrali, conservati nelle cantine di pietra, che spandevano nell’aria, già mite e pregna di profumi, stuzzicanti aromi. Insomma tutti “in fiera” dove c’era uno spazio apposito, riservato al bestiame. Gli intenditori arrivavano da zone diverse osservando scrupolosamente le bestie mansuete prima degli acquisti. Infatti erano proprio le bestie le principali protagoniste dell’economia rurale di allora. Sulle bancarelle facevano bella mostra scarpe, vestiario, dolciumi. Sicuramente, in tempo di ristrettezze finanziarie, erano più i desideri coltivati nel cuore che gli acquisti. Le soste obbligate, sotto i portici, erano quelle dalla “Gina” per acquistare gli zoccoli di legno che avevano, anche su di noi bambini, un fascino irresistibile e da “Giglio ad Quartieri” dal quale le nonne compravano lacci, filo per cucire, chincaglieria chiedendo, a mezza voce, un po’ di sconto mentre lo storico commerciante ricambiava con garbo e innata correttezza. Perché il rispetto era un valore, non un “optional” dei giorni nostri. Il pranzo era una vera, grande festa in quanto si consumava comunitariamente nel campo situato sopra l’attuale edificio che ospita le sedi delle associazioni di volontariato. Ci si scambiavano “le leccornie”, semplici, ma gustosissime, fra risate, amarcord e canti accompagnati dalla fisarmonica. Le attrattive dei giovani erano la giostra, collocata nel vecchio campo sportivo, ed il ballo nel Teatro Quartieri. Le ragazze sfoggiavano gli abiti colorati, molto ampi per il tanto di moda “sottogonna”. Bastava un’orchestrina locale, qualche giro di valzer, tango e mazurca per essere soddisfatti fra sguardi ammiccanti che facevano da cornice allo sbocciare di nuovi amori. Nello scorrere dei calendari la fiera permane. Sicuramente in tono minore. Molte auto, meno gente, banchi alquanto diversi in quanto la globalizzazione non ha pietà dei manufatti locali. Meno allegria e maggiori preoccupazioni per l’incalzare delle incertezze. Su tutti i fronti. Nitidi i vissuti di quella fiera “ad Pasqueta”, accarezzati da pacata nostalgia, tanto da ripetere con il poeta “Or non è più quel tempo e quell’età”. Ivana Fornesi