È noto che il sepolcro di Galeotto Malaspina, collocato nell’ultima cappella di sinistra della chiesa di San Remigio a Fosdinovo, sia una delle massime espressioni della statuaria medievale in Lunigiana. Trattando il tema, riscontro quanto sia difficile affrontare argomenti squisitamente lunigianesi, senza chiamare in causa territori “altri”, spesso molto lontani.
Si, perché, per comprendere dove nacque l’idea di avere un monumento tanto importante, occorre scavare nella cultura Malaspiniana, indagando sui rapporti tra questa e altre corti medievali. Si parte da Spinetta Malaspina “il Grande”, il condottiero noto per le sue imprese militari, tra le quali, quella di tener testa a Castruccio Castracani degli Antelminelli.
Spinetta, longa manus in Lunigiana di Mastino I della Scala, Castruccio, altalenante nelle alleanze, strinse rapporti con l’arciduca d’Austria Federico I d’Asburgo che lo nominò vicario per Lucca, sottoponendogli la Lunigiana e la Val di Nievole.
Ma intanto i due si erano scontrati a partire dal 1317, quando Castruccio si impossessò di alcuni feudi Lunigianesi di Spinetta, tra i quali Fosdinovo, mentre altri, come Giucano, Tendola e Gragnola si sottomisero spontaneamente.
Tornando alla frequentazione di Spinetta e del nipote Galeotto alla corte Scaligera, si può immaginare l’impressione dei due Malaspina nell’ammirare le sontuose tombe che, proprio in quel lasso di tempo, i Della Scala, costruivano per propagandare la grandezza ed il potere della Casata.
Si andava realizzando il complesso delle Arche Scaligere, che lo storico francese Georges Duby ha definito “uno dei più insigni e significativi monumenti dell’arte gotica”.
Quindi, per Galeotto, che frequentò fin da giovane Verona, figlio di una nobildonna veronese, Giovanna Cagnoli, sposato ad una nobildonna genovese Argentina Grimaldi, cavaliere e giudice a Verona, lasciare nel proprio testamento la precisa volontà di avere una degna sepoltura, come già fece lo zio Spinetta, il quale precisò di voler riposare in una “honorabili arca marmorea”, dovette essere una cosa assolutamente normale.
Spinetta morì senza figli, e nominò propri eredi Galeotto ed i suoi fratelli Gabriele e Guglielmo, figli del fratello Azzolino II Malaspina.
Con la discesa in Italia di Carlo di Lussemburgo, nel 1354-1355, dal quale tornò in patria come Carlo IV, Re d’Italia ed Imperatore del Sacro Romano Impero, iniziò la fortuna dei tre fratelli: vennero infatti insigniti dall’Imperatore del titolo di Marchesi di Fosdinovo.
Questa serie di fatti storici e di propaganda, prima ancora che artistici, stanno dunque alla base della realizzazione del sepolcro, fortunatamente giunto a noi, nonostante le vicissitudini della chiesa di San Remigio la quale nella seconda metà del XVII infatti, andò a fuoco, per essere profondamente rinnovata, divenendo la sontuosa chiesa che oggi possiamo vedere, ricca di 10 stupendi altari marmorei, due dei quali con opere di Giovanni Baratta.
A questa sepoltura hanno dedicato studi e pubblicazioni, eminenti studiosi come Marzia Ratti Caperzano, che in “Niveo de Marmore”, l’importante mostra tenutasi nel 1992 alla Fortezza di Sarzana, pubblica una scheda dell’opera, delineandone caratteristiche e probabile autore, riferendo di un “Maestro Campionese” calato dal Nord per eseguire il sepolcro su richiesta degli eredi di Galeotto.
Sempre Marzia Ratti, evidenzia la stringente similitudine tra le caratteristiche dell’opera e le tre statue conservate alla Pieve di Sant’Andrea a Montedivalli. Fu poi, nel 2008, che un altro storico dell’arte, Piero Donati, pubblicò un lucido saggio nel quale rimarca le analogie stilistiche tra il sepolcro e le statue di Sant’Andrea, ma antepone l’esecuzione di queste al Galeotto, ed evidenzia una possibile mano diretta dell’artista nelle tre statue, mentre il sepolcro sarebbe, in buona parte “opera di bottega”.
A questo punto, la questione sembra dipanarsi: nella chiesa di San Francesco, a Sarzana, pare che un tempo oltre alle due sepolture, quella di Bernabò Malaspina e di Guarniero degli Antelminelli, ve ne fosse una terza, come Piero Donati suggerisce chiamando in causa il Da Faye, il quale soggiornando in Sarzana “fra il 1469 ed il 1470 e vide ‘tre bele sepulture’ nella ‘chiexa de santo Francesco’, collocate probabilmente sulle tre pareti della Cappella Maggiore”.
Dunque dalla tomba mancante a Sarzana, sarebbero “partite” le tre statue per Sant’Andrea, e queste sarebbero la prima ragione della presenza del Maestro Campionese qui, che, in seconda battuta, sarebbe stato incaricato anche del sepolcro di Galetto.
Merita il vedere la sepoltura anche solo per la tipologia di armatura che è particolarissima, rappresentando una fase arcaica, dove per la realizzazione venivano impiegati materiali diversi, acciaio e cuoio cotto, perfettamente resa dall’artista, con un virtuosissimo uso del marmo.
Stefano Calabretta