
Nel 1639 una curiosa indagine ecclesiastica fece luce sul fenomeno delle formiche di San Michele ad Arzelato

Con l’arrivo dell’autunno non è infrequente imbattersi nella sciamatura delle formiche:
esemplari alati di questo imenottero si sollevano in grandi gruppi per la riproduzione
in volo e la successiva fondazione di nuove colonie da parte delle femmine che perdono le ali e, una volta atterrate, depositano le uova fecondate in un nuovo formicario, mentre i maschi muoiono.
Nonostante la scienza, già da diversi secoli, abbia illustrato l’attività riproduttiva delle formiche, che avviene in condizioni di temperatura, umidità e vento tipicamente settembrine e spesso anche a quote elevate, è frequente – una veloce ricognizione su
internet conferma la cosa – imbattersi in articoli di stampa che in diverse parti dell’Italia riempiono le pagine di cronaca con “il mistero” o “lo strano fenomeno” delle formiche volanti. Talvolta l’attenzione dei mezzi di informazione è riconducibile al verificarsi
della sciamatura in occasione di ricorrenze religiose del periodo autunnale o tardo estivo, cosa che ha alimentato per secoli credenze popolari stratificatesi attorno all’elemento sacro, con il conseguente contorno di leggende e devozioni.
Il fenomeno delle formiche alate è noto ad esempio a Foresto Sparso (Bergamo), dove il volo degli imenotteri coincide con la ricorrenza del Martirio di San Giovanni Battista, celebrato nel santuario eretto sulla cima del Monte Cunisio il 29 agosto; o a Pianoro, nell’Appennino bolognese, dove nei pressi del santuario mariano eretto sul Monte – guarda caso – delle Formiche, l’accoppiamento avviene l’8 settembre in coincidenza con la ricorrenza della Natività di Maria e le formiche morte vengono raccolte in bustine e distribuite ai fedeli come rimedio taumaturgico contro i reumatismi ed altre malattie
rispetto alle quali l’acido formico ha poteri lenitivi.

Come è noto, il fenomeno delle formiche alate si verifica anche in Lunigiana, ad Arzelato, nelle alture tra Pontremoli e Zeri, ogni 29 settembre, nella ricorrenza di San Michele, patrono del panoramico villaggio. Testimonianze scritte dell’impressionante sciamatura e della morte delle formiche all’interno della chiesa risalgono alla visita pastorale del vescovo di Sarzana-Luni, mons. Salvago, nel 1593 e sono state confermate nel Settecento da Bernardino Campi.
Le formiche di San Michele ad Arzelato, anche nei decenni recenti protagoniste delle cronache locali, furono oggetto anche di un singolare “processo” sviluppatosi nell’estate del 1639, dal quale si deduce che l’autorità ecclesiastica del tempo non ravvisava alcunchè di
soprannaturale nella sciamatura. A riesaminare le carte e a ricostruire la vicenda con una
pubblicazione, nel 2015, sulla Rivista diocesana “Chiesa locale” della Diocesi di La Spezia-
Sarzana-Brugnato è stato don Paolo Cabano, direttore dell’Archivio storico diocesano e della
Biblioteca Niccolò V di Sarzana, peraltro originario per parte di madre del vicino villaggio
di Torrano.

Tutto comincia nei primi di luglio, quando il Rettore di Arzelato, don Francesco Leoni chiede
con una missiva a Mons. Prospero Spinola, Vescovo di Luni-Sarzana – la diocesi da cui
dipendeva la parrocchia fino al 1787 – di prodigarsi per ottenere dal Papa una speciale
indulgenza per la festa di San Michele, alla luce dell’evento della sciamatura che egli ritiene
miracoloso. Il Vescovo incarica pochi giorni dopo il Vicario foraneo di Pontremoli, don Camillo Ricci, di istruire il processo raccogliendo le necessarie informazioni. Il Vicario il 16 luglio si reca inizialmente a Rossano, per ascoltare il parroco di San Medardo, don Pietro Francesco de Magistrellis e, nello stesso luogo, il parroco di Dozzano, don Pietro Angelo de Casellis e il prete pontremolese Vincenzo de Magistrellis, tutti da molti anni presenti alla ricorrenza patronale oggetto dell’indagine. Il giorno successivo don Ricci si reca ad Arzelato
per raccogliere le testimonianze di alcuni laici del paese: l’ottantenne Emilio Bernardino
Lecchini, il possidente Michele detto “zerasco” e Simone Tonsi.
Tutte le testimonianze concordano non solo sul verificarsi del fenomeno della sciamatura sulla facciata e all’interno della chiesa, in alcuni casi sin dai racconti dei loro padri, ma anche sulla presenza nella storia di una coppia di “porci cinghiali” che anticamente si recavano ad Arzelato alla vigilia della festa, uno dei quali si lasciava uccidere e una volta macellato veniva diviso fra i paesani, mentre l’altro veniva lasciato libero.
I cinghiali scomparvero e lasciarono il posto alle meno succulente formiche allorquando,
secondo la narrazione popolare, gli arzelatesi non si trovarono più d’accordo sulla divisione
della carne. Ottenute le testimonianze, don Ricci inviò a Sarzana i verbali del singolare processo.
Evidentemente preoccupato dall’assenza di risposte e dall’avvicinarsi della festa patronale,
don Francesco Leoni, anche a nome dei suoi parrocchiani, sollecita il 23 agosto il Vescovo ad attivarsi nei confronti di Roma, offrendo anche la disponibilità a sostenere le spese della causa. Dalla ricerca nell’Archivio diocesano, tuttavia, non risultano risposte del Vescovo. Se ne deduce quindi che monsignor Spinola, alla luce dei verbali, non ravvisasse alcunchè di
miracolistico o soprannaturale da giustificare una richiesta di indulgenza plenaria. E forse,
presentare alla Santa Sede il verbale di un così singolare processo, doveva parergli eccessivo: tanto più quando la scienza aveva già fornito convincenti spiegazioni.
(Davide Tondani)