
Domenica 3 settembre – XXII del Tempo Ordinario
(Ger 20,7-9; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27)
Dopo aver portato i discepoli alla professione di fede in lui, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, Gesù si avvia verso Gerusalemme per completare la sua missione e inizia a preparare i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della sofferenza.
1.Dio non voglia, Signore. Pietro aveva riconosciuto Gesù come il Cristo, il figlio di Dio, ma chiaramente nella prospettiva di una regalità davidica trionfante. Invece Gesù si presenta come il Servitore sofferente che raccoglie il popolo disperso con la sua passione, cui seguirà la risurrezione. Pietro, forte per l’incarico ricevuto e trasportato dal suo amore impulsivo ancora poco illuminato dalla fede vera, si rivolta contro l’apparente crudeltà del piano divino e si sente in dovere di dare consigli a Gesù, ma viene duramente rimproverato: “Va’ dietro a me, Satana!” Da pietra fondante della Chiesa Pietro si trova ad essere “pietra di scandalo”, l’uomo dagli slanci più generosi diventa il discepolo che lo rinnega: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; “Non conosco quell’uomo!”.
2.Prenda la sua croce. L’ammonimento di Gesù è un invito a interiorizzare il suo messaggio, perché l’uomo non trova fuori di sé ciò che deve offrire a Dio, ma lo trova dentro di sé, come leggiamo nel salmo di Davide: “Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi”. Sarebbe troppo comodo offrire a Dio la croce degli altri; Gesù ci chiede di compiere la nostra offerta personale portando la nostra croce dietro di lui, perché la nostra offerta al Padre avviene attraverso la mediazione dell’unico sacerdote Gesù: “Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5s).
3. Renderà a ciascuno secondo le sue azioni. Pietro che riconosce Gesù e Pietro che lo rinnega sono due atteggiamenti dello stesso discepolo, e sono anche i due atteggiamenti di ciascuno di noi, cioè grandezza e miseria. Un difetto costante delle nuove teorie educative è l’aver perduto il senso della fragilità umana: tutti dobbiamo essere campioni, lo sbaglio non è ammesso. Il limite però appartiene alla condizione umana, e dalla fragilità non è escluso nemmeno chi ha compiti di responsabilità nella Chiesa. Dio non ha scelto gli angeli, ma uomini fragili per farli protagonisti nella storia. Nessuna catena è più forte del suo anello più debole, e il primo anello, Pietro, il principe degli apostoli, ha segnato la Chiesa con la sua impronta come avrebbero fatto san Giovanni con la sua dottrina mistica o san Paolo con il suo spirito missionario se fossero stati al suo posto. Nessun altro apostolo suscita tanta comprensione quanto Pietro, perché è vicino a ciascuno di noi con la sua forza e con la sua debolezza, con la sua esuberanza e con i suoi fallimenti.
+ Alberto