Il 10 luglio 1943  gli Alleati sbarcano  in terra di Sicilia

Quel luglio di ottant’anni fa che cambiò il corso della storia

Soldati inglesi in marcia nei pressi di Noto l’11 settembre 1943 (da Wikipedia)

La prima grande operazione della controffensiva anglo-americana fu lo sbarco in Sicilia dopo le vittorie in nordafrica che avevano obbligato tedeschi e italiani a ritirarsi. A febbraio a Casablanca Roosevelt e Churchill, in previsione di sicura vittoria, avevano progettato la capitolazione del nemico italo-tedesco. Sono state fatte ipotesi di sostegno preparato dalla mafia indigena e migrata in America, però la storia si scrive sui fatti provati.
Dagli archivi militari è documentata l’operazione, pubblicata in un inserto del Corriere della Sera 1989 firmato Giuseppe Mayda e Enzo Biagi al quale ci atteniamo. Pomeriggio 9 luglio: allarme sulla Sicilia orientale, ma non riesce lo scarico di paracadutisti.
Alba del 10 luglio: centinaia di navi della VIII Armata britannica e della VII americana sono al largo, attaccano su Avola e sul golfo di Gela. L’artiglieria italiana spara ma le vampate segnalano la sua posizione e viene messa a tacere, il battaglione italiano riesce a contrastare per molte ore lo sbarco a Gela dei Rangers americani che devono combattere casa per casa; il piano di resistenza del generale Guzzoni fu giudicato “magistrale” dagli avversari, ma non poteva avere successo per la vastità del fronte (210 km), la superiorità numerica degli Alleati e il loro dominio del cielo.

L’aeroporto di Catania distrutto dai bombardamenti che prepararono lo sbarco del 10 settembre 1943 (da Wikipedia)

Dopo 48 ore di battaglia le truppe italiane e tedesche ripiegarono sulla piana di Catania, combattono per impedire al generale Montgomery di arrivare presto a Messina. L’occupazione di tutta la Sicilia prevista al massimo entro due settimane avvenne il 17 agosto dopo 38 giorni, ritardata per “l’impegno quasi disperato della Marina e dell’Aeronautica”.
A sorpresa i tedeschi ebbero ordine di rinunciare a difendere la Sicilia e resistere solo per il tempo necessario per portare in Calabria tutte le loro divisioni. Dal 17 luglio le divisioni corazzate americane avanzano a ventaglio nella Sicilia occidentale: il 22 prendono Palermo e stringono in un cerchio le forze costiere italiane, che avevano difeso la Sicilia come era possibile farlo.
Questa affermazione mette in discussione la vulgata, forse di tendenza ideologica, che i militari, specie i siciliani, abbandonarono le divise e andarono allo sbando. Così non fu; ma, per come andarono poi le cose, avrebbero fatto bene.
Il generale Guzzoni, rimasto solo, deve far ritirare sul continente le forze rimaste. Tragico come sempre il bilancio: l’Italia da 864 aerei ne conserva efficienti 162, i morti sepolti sull’isola sono 4.278. Complessivamente il fronte italo-tedesco conta circa 9mila perdite sulle 170mila unità presenti all’inizio dello sbarco, quello alleato circa 22mila sul numero delle due Armate.
La campagna combattuta in Sicilia ebbe grandi risultati: sul piano militare, strategico segna una svolta già in atto all’inizio del 1943 negli altri settori della guerra: l’inizio della ritirata dei giapponesi sul Pacifico sconfitti alle isole Midway e Guadalcanal, la battaglia di El Alamein in Egitto, dove gli italiani combatterono con onore riconosciuto dagli inglesi vincitori, ma che obbligò alla ritirata dal Corno d’Africa e dalla Libia e pure dalla Tunisia, la vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado, la più grande di tutta la storia umana. Lo sbarco in Sicilia determina e allarga il teatro di guerra; fu scelta l’Italia anzichè la Grecia, come avrebbe voluto il primo ministro inglese Churchill, politico conservatore già in allarme nei confronti di Stalin.
Accolti come liberatori ma presto percepiti come occupanti (L. Canfora), sul piano politico mettono in moto il traffico sotterraneo che portò alla resa dell’Italia e alla caduta del regime fascista. Agli insuccessi militari che a catena si succedono, sul “fronte interno” si fa più evidente una spaccatura sempre più profonda tra la realtà oggettiva del fallimento e la propaganda del “Vinceremo” fermando i nemici sul bagnasciuga.
Vince la dura realtà, l’Italia avrà ancora venti mesi di guerra totale sul proprio territorio. Il nuovo capo del governo Pietro Badoglio in segreto e con mediocre tortuosità tratta la resa con gli Alleati: armistizio (arma stant) è sospensione delle azioni di guerra, questo invece accese nuova guerra e mandò in dissoluzione l’esercito.

(M.L.S.)